grafene

Nanotecnologie ed il “materialedelle meraviglie”

Grafene,ai piu’ ancora questo innovativo materiale dice poco.Ma ricordiamoci questo nome,ne sentiremo parlare a lungo.E’ considerato infatti uno dei materiali piu’ promettenti del futuro ed è costituito da un unico strato di atomi di carbonio collocati su una struttura a nido d’ape,ultrasottile,flessibile,200 volte piu’ resistente dell’acciaio,ottimo conduttore di calore ed elettricità oltre che trasparente.Nel 2004 un gruppo di ricercatori dell’Università di Manchester guidati da A.Geim e K.Novoselov,riuscì per la prima volta ad isolare il grafene in laboratorio armati di nastro adesivo e fette ultrasottili di grafite.Fette monoatomiche di matite insomma!La scoperta fu considerata rivoluzionaria da subito e solo sei anni dopo ,nel 2010,comportò il conferimento del premio Nobel per la fisica.Oggi tutto il mondo cerca di produrre grafene puro a basso costo.Un gruppo giapponese(Tanizawa)è già riuscito a produrne frammenti di ottima qualità con metodi di sintesi chimico-biologica tramite batteri della specie Shewanella oneidensis.Sono stati già realizzati transistor superveloci,modulatori ottici (veri e propri “interruttori luminosi”),filtri per sostonze gassose superefficienti testandone solo alcune caratteristiche chimico-fisiche.Oltre la rivoluzione nel campo dell’elettronica,dei conduttori superveloci,nel campo dell’ottica,degli schermi touchscreen,delle batterie ad alta capacità,dei nuovi pannelli solari,dei materiali plastici,ci attendiamo sommovimenti tellurici nei campi piu’ disparati delle nuove tecnologie.Dato che in questo momento mi stò dedicando ai nuovi materiali protesici applicabili alla chirurgia di parete mininvasiva sogno un avveneristico graft ultrasottile,fortissimo,assolutamente biocompatibile.Chissà che un micrograft al grafene possa un giorno essere oltre che un valido sistema di riparazione parietale anche un impianto di una nanocentralina multifunzione!

 L’Editore 8 Dicembre 2012

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Chirurgia dei lumi

Chirurgia dei lumi

Chirurgia dei lumi

La Chirurgia nel XVIII° secolo

Nascita di una professione, quella di chirurgo.Nel corso del diciottesimo secolo il chirurgo urbano e d’elite rinunciò ad assortire le sue pratiche con quelle di barbiere, o addirittura di suppliziatore e di boia. Mirò a uno statuto più alto, pari in dignità a quello del medico, e lo raggiunse, o vi si avvicinò, sostenuto in Francia nella sua ascesa dalla solidarietà degli enciclopedisti, e dalla valorizzazione, che essi intrapresero, delle arti e della manualità.Ma la complicità ideologica non scaccia la paura dei ferri:d’Alembert, uno dei curatori dell’Encyclopédie”, preferì lasciarsi morire piuttosto che essere “tagliato per calcolo “. Lastoria del Chirurgo dei Lumi, questo “professionista emergente” del Settecento, con scrigni e cassette ricche di forbiti metalli, è carica di luci e di ombre, di successi tecnici e di abissi d’orrore. 

Nel 1744, un chirurgo di provincia di nome Tostain, aiuto del primo chirurgo del re a Saint-Loin Normandia, inviò all’Accademia di Chirurgia di Parigi la descrizione di un’operazioneche aveva eseguito di recente su un bambino di nove anni affetto da calcoli alla vescica:

“…decisi di fare l’operazione, che mi sembrava ancora più difficile dato che il bambino era assai antipatico e cattivo, e all’inizio non ero sicuro che avesse un calcolo poiché non erapossibile esplorare con la sonda dentro quel carcinoma che non lasciava spazio. Anchequando riuscii a immobilizzare il bambino, ebbi difficoltà a localizzare il calcolo col miocatetere. Quando finalmente ci riuscii, volevo fare l’operazione laterale, ma dato che eraimpossibile muovere la sonda, dovetti decidermi per il “grand appareil”. L’impedimento misembrò tutt’altro che trascurabile: infatti, puntando il bisturi da litotomia verso l’incavo della sonda, incisi facilmente la pelle, ma dovetti passare avanti e indietro cinque o sei volte sulla membrana dell’uretra prima di riuscire ad arrivare a scoprire l’incavo. La cosa mi fece inveire un poco contro lo strumento e contro chi lo aveva affilato. Cambiai la lama due volte, e ebbi veramente difficoltà a completare l’incisione, dopodiché introdussi il gorgeret(un tipo di dilatatore) e con difficoltà dilatai l’incisione. Poi la cavità si aprì con forza esercitandovi uno sforzo violento. Non volli ritirare il gorgeret per paura di perdere la strada, dato che il bambino si contorceva violentemente contraendo il diaframma e i muscoliaddominali. Ma mi scoraggiai quando, introducendo il dito indice, sentii che il calcolo era attaccato in maniera così salda che non riuscivo affatto a muoverlo. Alla fine, lo afferrai e loestrassi, senza lasciarci alcun frammento. Il paziente venne colto da febbre subitanea. Cadde in un vaneggiamento delirante. Gli feci fare due salassi, ma senza risultato. La febbre non diminuì, e morì il martedì successivo …”(1)

 Non c’è da stupirsi se l’Accademia scelse di lasciare questo orrendo resoconto di Tostaininedito nei suoi archivi. Esso mette infatti in evidenza, in modo fin troppo esplicito, il baratrodi orrore di un’importante operazione chirurgica nel secolo diciottesimo. Per parafrasare lafamosa osservazione del Dr. Samuel Johnson, quel che è notevole della chirurgia nel periodo precedente l’uso di efficaci antidolorifici o prima che si arrivasse a capire la causadell’infezione delle ferite, non è il fatto che fosse praticata male, ma semplicemente chefosse praticata. In un tempo in cui la parola “paziente” significava di solito un criminalesottoposto a tortura per mano di un boia (che spesso si trasformava anche in conciaossa)(2),lo sfortunato “paziente” di un chirurgo soffriva un’agonia simile.Il filosofo Denis Diderotconsigliava infatti di sostituire esperimenti chirurgici alle punizioni capitali, di modo che leesecuzioni servissero almeno a uno scopo costruttivo. Diderot stesso, andrebbe aggiunto,impallidiva all’idea, ma sperava che i chirurghi trovassero quelcoraggio che a lui mancava(3). I chirurghi eran ben consapevoli del terrore che incuteva il loro operato. Si dovrebbe prender ogni precauzione, scriveva Pierre Dionis, per tener nascosi alla vista gli strumenti chirurgici (4). Jacques Tenon insistè perché sipredisponesse una sala chirurgica separata all’Hòtel-Dieu a Parigi (probabilmente il luogo nel quale si effettuava la maggior parte di tutti gli interventi dell’intera Europa) così danascondere a quelli che aspettavano e a quelli che si stavano riprendendo da un’operazione la vista e i suoni della loro imminente o recente “tortura”(5) Solo a sentir nominare la parola “trapanazione” o “litotomia” i pazienti potevano spaventarsi al punto da rifiutare di sottoporsi a operazioni magari necessarie (6). Il collega di Diderot, Jean L Rond d’Alembert accettò la morte piuttosto che essere “tagliato per il calcolo”. E ci consta che perfino i chirurghi stessi abbiano spesso fatto altrettanto (7).Molti di quelli che riuscivano a sopravvivere per giorni o settimane a operazioni chirurgiche, morivano per infezioni post-operatorie, lasciando ichirurghi confusi e scoraggiati: “sembra difficile spiegare la causa che ha potuto produrre tutti gli inconvenienti sopraggiunti dopo l’operazione”, scrisse un chirurgo dell’ospedale della Carità di Parigi riguardo ad uno dei sei decessi su una serie di dodici

 

pazienti operati per calcoli, il12maggio 1737. In circostanze del genere, si è portati achiedersi come mai ci fosse chi, nonostante tutto,acconsentiva a essere operato. In molti casi, in effetti, i pazienti “acconsentivano” alla chirurgia solo quando i dolori da cui erano affetti diventavano insopportabili e prevalevano sulla paura e il dolore del sinistro rituale terapeutico. I chirurghi dell’Hotel-Dieu raccontavano che i pazienti andavano “quasi con gioia” all’anfiteatro dell’ospedale dove avvenivano le amputazioni, tanto intensa era la loroagonia (8).I rapporti clinici concernenti le perazioni di litotomia specificano il numero di anni durante i quali le vittime sopportavano i calcoli prima di sottoporsi finalmente aun’operazione chirurgica. Il giovane paziente di Tostain aveva sofferto i sintomi per sei anni; un uomo di ventinove anni aveva sofferto dall’età di nove o dieci, “tanto temeva operazione”; un diciottenne, la cui operazione di litotomia all’Hòtel-Dieu nel 1732 ebbe successo, aveva sopportato la sua malattia dalla nascita senza quasi nessuna tregua al dolore (9).  La chirurgia rimase così un paradosso per tutta la prima parte dell’età moderna. Prove terribili che evocavano paura,dolore e terrore, che portavano spesso infezioni e morte, le operazioni chirurgiche potevano essere allo stesso tempo interventi che salvavano la vita o liberavano dal dolore e dall’invalidità.Per i chirurghi, le operazioni costituivano anche un raffinato paradosso, rivelando i severi limiti della pratica e allo stesso tempo servendo da supporto alle pretese di potere avanzate dalla professione.

 

La chirurgia francese: storia di un successo dell’Illuminismo.

 

Durante la seconda metà del secolo diciottesimo, la chirurgia francese godè di un prestigio senza pari, specie se ci riferiamo al suo status precedente. Per molti aspetti l’arte della chirurgia riuniva in sé valori cari alla cultura illuminista.Conoscenza scientifica, abilità professionale, utilità sociale e risolutezza nell’azione, si fondevano nella figura del chirurgo ideale che Sébastien Mercier nel suo Tableau de Paris (1783)caratterizò in termini eroici come colui i cui poteri dovrebbero essere “presque surnaturels”(10).Mercier profondeva lodi sulla chirurgia (“quest’arte ha fatto progressi incredibili, e che si ammirano a ragione … le operazioni più importanti, che cento anni fa erano le più difficili,ora si avvicinano alla perfezione”) mentre criticava aspramente la medicina, come aveva fatto Molière più di un secolo prima”(11). Una certa affinità con l’immagine più letterale dell’Illuminismo (“l’operazione della mano non è mai nascosta; è alla luce del giorno che si giudica tutto”)(12) distingueva anche la chirurgia dalla medicina interna, il cui oggetto rimaneva nascosto alla vista e i cui praticanti troppo spesso brancolavano nel buio, alle prese con malattie mal definite, con rimedi inefficaci.Se, come aveva predetto Cartesio, una medicina scientificamente fondata offriva la speranza migliore per aumentare il benessere dell’umanità, a parte il vaccino per il vaiolo non c’era molto che gli illuministi potessero far valere come passo significativo in questa direzione (13). La chirurgia, per contrasto, curava colui che soffriva di calcoli, ridava la vista a chi era vittima della cateratta, restituiva un linguaggio intelligibile al bambino col labbro leporino, la vita al soldato ferito. I miracoli della medicina, quali ci si aspettava nel modo di pensare laicizzato del diciottesimo secolo, provenivano dall’intervento del chirurgo. Un pregio importante della chirurgia, secondo i canoni dei valori illuministici, era il suo primato di progresso cumulativo professionale. La chirurgia professionale era percepita come la tipica storia di un successo settecentesco, una lezione straordinaria e istruttiva su come”artisti” di merito, a forza di applicarsi collettivamente alla loro regione del sapere, potessero farne avanzare i confini e dare a sé stessi spicco nel mondo. Nel 1748 il giovane Denis Diderot appoggiò gli sforzi dei chirurghidi Parigi volti a conquistare l’autonomia dalla facoltà di medicina (14). Alcuni anni più tardi, Diderot consacrò ampio spazio nella sua Encyclopédie ad articoli sulla chirurgia scritti da chirurghi. Lì, sia le aspirazioni che i risultati della professione furono esposti al grandpublic(15). La nozione di chirurgo “artista”, che combinava il cervello con la mano, la teoria con la pratica, rappresentava perfettamente l’apogeo di un ideale illuminista e incarnava lo scopo del progetto dell’Encyclopédie di infondere nella filosofia un nuovo rispetto per”scienze, arti, e mestieri”(16). In un saggio ampio e polemico del 1774, Francois Quesnay (1694-1774) aveva distinti l’esperto “artista”chirurgico e i suoi pari… il geometra, l’architetto, lo scultore, il pittore e il chimico… dagli artigiani comuni (17) Quesnay stesso, autore di articoli fondamentali di economia politica per L’Encyclopédie, dopo aver percorso una carriera che lo aveva portato da modesto chirurgo e ostetrico (accoucheur) di una piccola città a segretario dell’Accademia di Chirurgia di Parigi, divenne finalmente medico dell’amante di Luigi XV, la patrona della cultura illuminista, Madame de Pompadour. Verso l’ultimo decennio dell’Ancien Regime, l’immagine della chirurgia come arte in ascesa appariva definitivamente stabilita. Commentatori al di fuori della professione, come Mercier, e medici che avevano in precedenza guardato con disprezzo i chirurghi, parlavano di una “rivoluzione” dei chirurghi nella società (18). Il matematico e filosofo Condorcet, facendo il panegirico di un collega chirurgo all’Accademia delle Scienze, si meravigliava che, solo quattro decenni prima, non venisse considerata necessaria per i chirurghi un’educazione liberale e che questi avessero in quell’epoca appartenuto alla stessa corporazione dei barbieri. Ora, diceva Condorcet, tutto era cambiato per il meglio (19). Prima di esaminare più da vicino la realtà su cui si fondava tale reputazione di riuscita,bisogna menzionare qualche sintomo inquietante che suggerisce come non tutto forse andasse tanto bene per laprofessione chirurgica. Nel 1774, l’Accademia di Chirurgia di Parigi pubblicò il suo quinto, poi dimostratosi anche ultimo, volume di Mémoires. Alla vigilia della Rivoluzione, la sospensione delle pubblicazioni era divenuta un forte imbarazzo per l’Accademia, sintomo di dissensi sugli scopi della professione e anche di un declino di vitalità scientifica. La seriefinale di articoli sugli strumenti chirurgici (1784-1793) portò all’attenzione la crescente preoccupazione dell’Accademia per questioni meramente tecniche, a discapito di più ampiproblemi teorici (20).

Nel 1762, l’eminente chirurgo di Rouen, Claude-Nicolas Lecat, si lamentava della persistente scarsa considerazione sociale in cui erano tenuti i chirurghi, nonostante un recente edittoreale in loro favore. Per Lecat, l’unica soluzione soddisfacente sarebbe stato che i chirurghi prendessero una seconda laurea in medicina per distinguersi dai semplici chirurghi di limitata educazione e di bassa condizione sociale. Questa via fu seguita generalmente dai principali chirurghi di provincia e dai chirurghi più giovani di Parigi.  Nel 1790, quando fu formato il Comité de Salubrità all’interno dell’Assemblea Costituente per dare un nuovo contesto alla medicina francese, non c’era un solo chirurgo fra i diciassette delegati medici. Questo rifletteva il fallimento dei chirurghi nel loro porsi socialmente e politicamente alla pari dei medici (21). I tre esempi specifici sopra riportati (e ne potrebbero esser citati molti altri) illustrano gravi tensioni all’interno della professione chirurgica francese. Fra considerevoli risultati durante il corso del secolo diciottesimo, queste tensioni, dapprima celate sotto la facciata del successo professionale, alla fine vennero alla luce. Per capire l’origine del conflitto, si devono sommariamente esaminare gli elementi del successoprofessionale e scientifico della chirurgia. Col senno dei primi anni del secolodiciannovesimo, R.B. Sabatier (1732-1811), capo chirurgo all’ospedale degli Invalides considerava i progressi che la chirurgia francese aveva fatto nel secolo precedente (22). Le credenziali di Sabatier come giudice e testimone oculare erano impressionanti, poiché aveva lavorato agli Invalides dal 1759 e aveva prestato servizio come professore di anatomia e di chirurgia al Collegio di Chirurgia per trentasette anni prima di ricoprire, nel 1794, la stessa cattedra all’école de sante di Parigi. Sabatier distingueva quattro categorie generali nel progresso chirurgico: 1) condizioni patologiche non descritte in precedenza o insufficientemente descritte.Queste includevano cateratte del cristallino, nuovi tipi di ernia, ascessi della cistifellea, rottura del tendine di Achille, e retroversioni dell’utero; 2) nuovi strumenti, incluse fasciature, sonde elastiche di gomma, pinze emostatiche per controllarel’emorragia, strumenti per legare i polipi; 3) nuove o perfezionate tecniche operatorie. Quil’elenco includeva l’operazione laterale per i calcoli alla vescica, estrazione della cateratta e altra chirurgia oculistica, operazioni per l’ernia strangolata, metodi di amputazione, taglio cesareo, operazioni di aneurisma, e altre; e 4) il trattamento di malattie “ricondotte a principi comuni”.Qui Sabatier elencava la medicazione delle ferite, in particolare le ferite da arma da fuoco, l’uso della sutura, il trattamento degli ascessi, delle fistole, delle malattie delle ossa, l’uso del cauterio, e l’ostetricia come aree in cui c’era stato un progresso.L’analisi implicava, anche se solo tacitamente, che il progresso era rallentato durante gli ultimi decennidell’Ancien Regime.Un esame più esauriente pubblicato nel 1773 in effetti elencava già la maggior parte delle innovazioni citate da Sabatier trenta anni dopo. Molte delle innovazioni citate da Sabatier erano state opera dell’eminente chirurgo parigino della prima metà delsecolo, Jean-Louis Petit, morto nel 1750(23). Un altro chirurgo il cui contributo fu importante fu il londinese William Cheselden, morto nel 1752. Il lavoro di Cheselden, soprattutto la sua operazione di incisione dell’iride per costruire una pupilla artificiale,suggeriva che i principali chirurghi inglesi potevano rivaleggiare con e, a volte, sorpassare i loro colleghi francesi (24).Il progresso nella conoscenza e nelle tecniche chirurgiche fu infatti un fenomeno europeo durante il diciottesimo secolo. Una rapida diffusione delle innovazioni entro e oltre i confini nazionali era di per sé forse la caratteristica più innovatrice della chirurgia.In nessun campo il processo di diffusione della conoscenza chirurgica era più evidente che nel caso delle nuove operazioni per i calcoli alla vescica. La litotomia, una tecnica conosciuta solo da pochi cosiddetti “esperti” e spesso custodita come un segreto di famiglia fino alla seconda metà del seicento,all’inizio del settecento divenne parte del repertorio del chirurgo abile e preparato.La storia di un nuovo tipo di operazione ai calcoli alla vescica, la cosiddetta operazione laterale, è un esempio particolarmente istruttivo del rifiuto  iniziale di una novità seguito da una  rapida diffusione una volta che questa si fu guadagnata l’approvazione dei chirurghi professionali (25). Nel 1698, un certo Frère Jacques fece ladimostrazione negli ospedali di Parigi di un nuovo modo di incisione dei calcoli la cui novità consisteva in una incisione obliqua perineale, rispetto all’incisioni centrale allora generalmente praticata e conosciuta come il grand appareil. Il metodo laterale offriva certi vantaggi rispetto al grand appareil per quanto riguardava la localizzazione e la dimensionedell’incisione del collo della vescica che permetteva l’estrazione di  calcoli più grossi, con più rapidità, e con l’uso di un minor numero di strumenti.I chirurghi parigini comunque, rifiutarono  il metodo di Frère Jacques, soprattutto a causa della poca conoscenza che ilchirurgo aveva dell’anatomia e per la sua condizione di guaritore girovago. Di lì poco, un chirurgo olandese ben preparato, esperto d’anatomia, Jacob Rau, imparò il metodo laterale da Frère Jacques e evidentemente lo usò con discreto successo durante i primi decenni del secolo diciottesimo. Sebbene Rau rifiutasse di pubblicare particolari sul suo procedimento, la tecnica alla fine passò dall’Olanda a Londra dove Cheselden la rese popolare verso la fine degli anni venti del diciottesimo secolo. Nel 1730,l’operazione laterale conosciuta ora come metodo di Cheselden o operazione all’inglese, ritornò in Francia, riportatavi da S.F.Morand, che l’anno precedente aveva ricevuto l’incarico dall’Accademia delle Scienze di andare a Londra a imparare la tecnica di Cheselden. La segretezza si trasformò in connivenza professionale quando Cheselden chiese al suo collega francese di nonpropagare le conoscenze sull’operazione prima di averne informato direttamente l’Accademia delle Scienze (26). Da allora in poi l’operazione laterale si diffuse rapidamente, nonostante la residua opposizione a Parigi da parte i chirurghi reali che continuarono perdiversi anni a favorire il grand appareil

 

Già verso la metà del secolo i chirurghi formatisi a Parigi avevano introdotto questa procedura nei centri provinciali e all’estero (27).Nel 1755, dopo una lunga serie di esperimenti su cadaveri, l’Accademia di Chinirgia di Parigi si schierò formalmente in favore della procedura un tempo controversa. Antoine Louis, segretario dell’Accademia, condannòil grand appareil come pratica “omicida”(28). Nuove conoscenze e nuove tecnicheincoraggiarono il progresso sociale e istituzionale della chirurgia. L’interesse crescente per le tecniche di litotomia, per esempio, giocarono evidentemente un ruolo nella fondazione dell’Accademia di Chirurgia di Parigi nel 1731 (29). Ma non si deve presupporre una connessione semplice, unidirezionale e causale fra il progresso della conoscenza e il conseguente progresso della professione. L’Accademia di Chirurgia nacque più come risposta alle aspirazioni collettive,intellettuali e sociali dei chirurghi d’elite parigini, che per qualsiasi novità concettuale o tecnica. L’Accademia, a sua volta,forniva una cornice per lasperimentazione critica e la diffusione delle nuove conoscenze. Questo avvenne per l’operazione di litotomia e per molte altre procedure specifiche (30). Stiamo qui trattando dell’interazione fra aspiranti professionisti e il loro lavoro scientifico, che necessita di un’analisi in termini di sociologia della conoscenza. Oltre i risultati specifici, l’Accademia di Chirurgia incoraggiava fra i suoi membri uno spirito di progresso collettivo e storicamente cumulativo. L’età dei Lumi poteva non durare in eterno , ma l’Accademia poteva garantire laconoscenza contro qualche futura età oscura funzionando come “depositaria” della verità (un corps dépositaire de la saine doctrine)(31). Infine, l’Accademia simboleggiava l’ingresso della chirurgia nella cultura dotta dell’Illuminismo, una cultura che aveva creato a Parigi accademie per le scienze, le lettere, la pittura, l’architettura, e le belle arti e una panoplia di accademie in provincia e all’estero.L’Accademia di Chirurgia conferì un particolare prestigio ai professionisti francesi di questa arte, come segno tangibile del patrocinio reale, comericompensa e incoraggiamento per gli uomini di talento a lavorare insieme alla pari, allaricerca di una conoscenza utile. Se per la professione l’Accademia era la più importante dimostrazione del sostegno reale, ce n’erano comunque molte altre. Durante la seconda metà del XVII secolo, la legislazione rafforzò la carica di primo chirurgo del re accordandogli crescente autorità e privilegi finanziari sulle corporazioni chirurgiche ocommunautés parigine e provinciali. Nel 1724, il governo reale istituì a Parigi cinque cattedre di chirurgia. A metà del secolo, la scuola di chirurgia ricevette il riconoscimento ufficiale di Collegio di Chirurgia. A un programma di studi sempre meglio definito, furono aggiunti nuovi corsi, mentre fu incorporata nel Collegio una école pratique di dissezione anatomica (1757) e una clinica o hospice (1774). Nel 1743, dopo la pubblicazione del primo volume di Mémoires dell’Accademia di Chirurgia, un decreto reale abolì formalmente a Parigi la professione di barbiere chirurgo e fece della laurea universitaria un requisitonecessario per tutti i futuri professionisti. Due questioni generali emergono da questo rapido quadro del progresso sociale e istituzionale della chirurgia durante il XVIII secolo. In primo luogo, le riforme erano fortemente centralizzate a Parigi. Montpellier, Lione,Bordeaux,Tolosa, Digione e altri centri provinciali fondarono Collegi di Chirurgia analoghi a quello di Parigi, sebbene su scala molto più ridotta. Bordeaux imitò persino il precedente parigino di una società dotta di chirurgia. Ma mentre il sostegno finanziario reale era generoso per i chirurghi di Parigi, culminando in fondi per la costruzione di nuovi magnifici edifici (1769-1774) ad opera dell’architetto del re, Jacques Gondoin, (l’Accademia di Chirurgia di Parigiereditò anche gran parte del patrimonio di La Peyronie che ammontava a più di un milione di sterline nel 1747), per i chirurghi di provincia non esistevano simili risorse. In definitiva, la strategia per sviluppare la professione medica attingeva e dipendeva da una strutturaonnipresente nella Francia illuminista… il modello monarchico. Una professione unificata dipendeva, per la sua coesione, da una organizzazione estremamente gerarchica. Per il bene del progresso sociale e scientifico, i chirurghi di provincia seguivano gli ordini di Parigi, i chirurghi parigini a loro volta erano guidati da una élite interna che derivavi la sua autorità dal chirurgo di Versailles (32).In secondo luogo, poiché i principali chirurghi cercavano di definire la loro arte e, in particolare, di ribadire la loro autonomia rispetto ai medici, adottarono una posizione compatibile con la moderna specializzazione (33).I medici e i chirurghi avrebbero dovuto padroneggiare le stesse conoscenze teoriche… anatomia, fisiologia, patologia, semeiotica, igiene, terapia… dopodiché ognuno avrebbe proseguito occupandosi, nella pratica, di un particolare gruppo di malattie. La chirurgia “est une partieconstitutive de la Médecine”(34). La nozione di chirurgia come “medicina esterna” sostenuta nell’Encyclopédie fece indignare quei medici che volevano mantenere la nozione tradizionale di chirurgia come una fra le diverse modalità terapeutiche e come parte”subordinata” della medicina(35).Per la fine del secolo, comunque, prevalse la opinione che considerava la chirurgia e la medicina interna come campi separati di pratica professionale, all’interno di una medicina teoricamente unificata (36).L’esser riusciti a ottenere uno statusseparato, ma paritario, per la chirurgia, fu per molti versi il più grande trionfo dei chirurghi del secolo diciottesimo. Una volta ottenuto questo status così a lungo cercato, verso la metà del settecento, a Parigi, la professione divenne straordinariamente vulnerabile. Se la chirurgia era davvero un campo autonomo, un corpus di conoscenze e tecniche specialistiche, ne seguiva che i chirurghi non avrebbero più dovuto prestare la loro opera come professionisti “di second’ordine” nell’intero campo della medicina (per non parlare del lavoro di barbieri e parrucchieri). Si sarebbero dovuti, d’ora in poi, mantenere entro i limiti della loro particolare area di competenza. Ma la chirurgia così definita, potevaeffettivamente dar corso a una professione? Una risposta facile sarebbe un sonoro no; tuttavia il dilemma posto ai chirurghi francesi del settecento dalle tensioni interne fra il loro lavoro e la loro carriera richiede un esame più accurato

 

Chinirgia: casistica e tecnica

 

In mancanza di dati statistici, perfino per gli ospedali di Parigi, fino alla fine della terza decade dell’ottocento, si deve far ricorso ad altre e indirette misure per calcolare l’incidenza delle malattie esterne o operatorie durante l’Ancien Regime. Si era generalmente d’accordosul fatto che le malattie operatorie fossero molto meno comuni di quelle interne. Secondo Jacques Tenon, il maggior esperto di ospedali francesi, l’Hòtel-Dieu di Parigi ospitava cinque pazienti comuni per ogni paziente da operare. I registri di accettazione di un piccolo ospedale chirurgico di Parigi alla fine dell’Ancien Regime, il Collegio francese di Chirurgia (1774-1793),mostrano un vasto spettro di condizioni cliniche. Queste malattie riguardavano in generale tutte le parti del corpo, maquelle delle estremità, dell’apparato urogenitale, della testa, del collo, e degli occhi coprivano più del 75% delle ammissioni. Le infezioni secondarie, stando ai registri di accettazione, erano quasi pari all’insieme di tutte le malattiespecifiche.In questo modo indiretto, tenendo conto delle complicazioni a lungo termine, più che delle loro immediate conseguenze, le lesioni traumatiche avevano evidentemente l’impatto maggiore sulla percentuale dei malati e sulla mortalità.

 

Le operazioni chirurgiche più importanti

 

Quante operazioni chirurgiche della cosiddetta grande chirurgie venivano fatte in un anno a Parigi, una città di mezzo milione di abitanti? Dove venivano eseguite, da chi, e quantichirurghi riuscivano a guadagnarsi da vivere con questo tipo di lavoro?Rispondere a simili domande è difficile, se non impossibile, ma alcune registrazioni sparse e le riflessioni dei chirurghi contemporanei possono fornire degli elementi. Secondo Francois Quesnay, a Parigi ogni anno erano eseguite fuori degli ospedali, appena cento operazioni chirurgiche”degne di nota”. Solo negli ospedali, dichiarò Quesnay, i giovani chirurghi avevano la speranza di assistere a importanti operazioni in modo da prendere dimestichezza con taliprocedimenti (37).

 

Tipi e frequenze di malattie al Collegio di Chirurgia dell’Ospedale di Parigi:

 

Lesione traumatica

60

( 11,7%)

Cancro

52

(  10,1%)

Cateratta

37

(    7,2%)

Calcolo

34

(    6,6%)

Edema

32

(    6,0%)

Labbro leporino

18

(    3,5%)

Ernia

9

(    1,8%)

Polipo

8

(    1,6%)

Aneurisma

6

(    1,0%)

Corpo estraneo

2

(    0,4%)

 

256

( 49,9%)

Tumori*

94

(  18,3%)

Ulcera

31

(    6,0%)

Fistole

36

(    7,0%)

Deposito,

 

 

Ascesso

26

(    5,1%)

Cancrena

21

(    4,1%)

 

208

( 40,5%)

Varie

49

(    9,6%)

Totale

513

(100,0%)

* I tumori includono anche i seguenti tipi: congestione, gonfiore, cisti

 L’operazione importante che più spesso veniva eseguita sembra fosse la litotomia. Se non altrimenti definita, la faille (incisione) significava l’incisione dei calcoli alla vescica. L’Hòtel-Dieu assegnava una stanza separata a queste operazioni già dagli anni ’40 del secolodiciassettesimo, anche se pochi chirurghi erano in grado di eseguire alla perfezione il grand appareil e nonostante mancassero gli strumenti (38). Le operazioni venivano eseguite due volte l’anno, durante la stagione temperata, in primavera e in autunno, e era abbastanza comune che venissero operati dai dieci ai quindici pazienti in una sola seduta. Spesso vi assistevano folle indisciplinate nonostante gli sforzi degli amministratori dell’ospedale per evitare che le operazioni diventassero degli spettacoli pubblici (39). La mortalità dovuta algrand appareil all’Hòtel-Dieu oscillava di anno in anno fra il 20 e il 30% (40).A questo punto, dovrebbe essere chiaro che il numero di interventi chirurgici gravi era modesto negli ospedali parigini.Anche all’Hótel-Dieu, il centro più importante d’Europa nel settecento, lagrande chirurgie sicuramente non era un evento quotidiano. E, se possiamo fidarci delle osservazioni di Quesnay che il grosso del lavoro avveniva negli ospedali di Parigi, la quantità di interventi eseguiti altrove in città sembra davvero scarsa. Dalla scarsità di domanda di grande chirurgia, segue che ben pochi chirurghi potevano guadagnarsi da vivere con questo tipo di lavoro, forse dieci o dodici chirurghi parigini, a detta dei leader dellaprofessione.(41) Tuttavia, verso la metà del secolo, il Collegio di Chirurgia di Parigi contava trecento specialisti, più un numero uguale di chirurghi “privilegiati’ che avevano il diritto legale di praticare |la professione, per non parlare dei loro concorrenti illegali.Come sopravvivevano questi chirurghi, più migliaia di altri loro colleghi nelle province?

 Piccola chirurgia

 

La chirurgia minore forniva una quantità significativa di lavoro. Il trattamento di lesioni, ferite, ascessi, ulcere esterne e simili occupava molti chirurghi di città e dava ancora più lavoro nell’ambiente militare. Anche la prevalenza di malattie veneree offriva mezzi di sussistenza a molti chirurghi; La Peyronie stesso era divenuto ricco con questi mezzi (42).L’ernia, secondo Arnaud,affliggeva almeno il 10% della popolazione povera di sesso maschile e costituiva la causa operatoria più comune dopo gli infortuni di guerra e le malattie veneree. Arnaud affermava di aver visitato una media di oltre cento pazienti con ernia alla settimana, quando esercitava a Parigi e più di ventimila nel corso della suacarriera (43). La cura dell’ernia senza far ricorso a un’incisione, grazie a manipolazioni esterne, locali e cinti erniari rientrava nei casi della chirurgia minore. Una quantità di altre malattie “esterne”, incluse malattie agli occhi, infezioni urinarie, malattie ai denti, e il campo in espansione dell’ostetricia e delle malattie femminili, fornivano ai chirurghi ulteriore lavoro.

 Medicina interna, lavoro del barbiere  e salassi

 

Sebbene la petite chirurgie aumentasse sostanzialmente la mole del lavoro chirurgico, l’offerta di chirurghi era assai

superiore alla domanda dei loro servizi. La chirurgia, dichiarò un medico nel 1757, poteva dar da vivere a circa cento dei seicento chirurghi parigini.(44)1 principali chirurghi stessi accettarono la necessità di ridurre di molto il numero di praticanti. Auspicavano unassottigliamento dei ranghi, che presupponevano avrebbe avuto luogo come conseguenza della Dichiarazione del 1743, la quale aumentava i requisiti necessari a entrare a far parte della professione (45).Il numero di chirurghi laureati a Parigi si ridusse di circa un terzo fra la metà del secolo e il 1789 (46).Nondimeno, il lavoro di chirurgo vero e proprio rimaneva del tutto insufficiente a mantenere una professione a Parigi. La situazione divenne ancora più critica nei grossi centri di provincia come Lione e Bordeaux che seguirono l’esempio dellarapitale nel troncare i legami precedenti con il lavoro del barbiere. Altrove i chirurghi conservavano la vecchia qualifica di barbiere-chirurgo. Questa restava una necessità economica vitale, se non per la professione del chirurgo laureato stesso, certamente per i suoi assistenti e allievi (47). La misura in cui i chirurghi riuscirono a guadagnarsi da vivere (e a rimanere all’interno delle professioni mediche, senza imbarcarsi nel lavoro del barbiere,o in altri mestieri), era legata alla cura di malattie interne. La leadership chirurgica parigina riconosceva che una pratica del genere violava un ideale auspicabile, sancito oltre tutto dalla legislazione formale. Si difendeva tuttavia fermamente la professione medica svoltadai chirurghi come un espediente necessario, anche se infelice, per le necessità mediche dei francesi. I chirurghi lavoravano nei sobborghi di Parigi e di altre città come anche nei villaggi e in campagna dove non c’era praticamente nessun medico; le loro parcelle erano modeste paragonate a quelle dei medici. I chirurghi di campagna curavano le malattie semplici della gente comune con “rimedi semplici forse i migliori”.Per tutta la Francia, i medici protestavano aspramente per l’intrusione dei chirurghi nell’esercizio della professione medica. Gilibert di Lione  definiva come “l’anarchie medicinale’ una situazione in cui ichirurghi della seconda città della Francia si accaparravano il 90% del reddito totale prodotto dall’esercizio della medicina interna (48). Chiaramente l’argomento di utilità sociale sostenuto dalla professione chirurgica, che forniva prestazioni mediche necessarie ai poveri, era in gran parte un tentativo di giustificare la loro pressante necessità economica di lavorare su più casi di quanti le sole malattie necessitanti un intervento chirurgico offrivano.Come abbiamo visto, tali malattie non potevano dar da vivere a una professione vasta e altamente stratificata. Qualche dozzina di chirurghi d’elite di Parigi e piccole congreghe nei capoluoghi di provincia fornivano all’Accademia di Chirurgia la maggior parte delle sueosservazioni cliniche (49). Meno di dieci specialisti, in tutta Parigi, ricevevano modesti stipendi come primari di chirurgia nei maggiori ospedali; i restanti chirurghi ospedalieri lavoravano in cambio di compensi che assicurassero sopravvivenza, esperienza e prospettive per il futuro. Un pugno di importanti chirurghi

ricevevano piccoli stipendi dal governo e dal Collegio di Chirurgia come professori, dimostratori, e per vari incarichi pubblici.(50) Alla metà del secolo, il primo chirurgo del rescriveva ottimisticamente che la professione offriva a giovani intraprendenti l’opportunità diguadagnare una fortuna “sufficiente” se non “brillante” e sottolineava l’esistenza di circa cento posti stipendiati nella capitale.(51) La maggior parte di questi probabilmente erano per medici di fiducia presso nobili casati. Per la vasta maggioranza di chirurghi privi di salario, ottenibile solo attraverso protezioni influenti, la regola era una concorrenza spietata, fra loro stessi, con i medici, i farmacisti, e spesso e volentieri con i “ciarlatani”. Di fronte allaconcorrenza di questi ultimi, spesso chirurghi girovaghi e guaritori religiosi di ambedue i sessi, diverse comunità chirurgiche di provincia si sciolsero durante la seconda metà del secolo diciottesimo. Talvolta neanche il lavoro di barbiere e la flebotomia, vero cavallo di battaglia del chirurgo di paese, del dottore itinerante, del medico militare, o di Parigi, riuscivano ad assicurare lavoro al giovane chirurgo. Le realtà del mercato obbligarono laprofessione chirurgica francese a cedere sul principio immortalato nell’Encyclopédie al prezzo di tanta fatica: l’esistenza di una sfera autonoma di lavoro chirurgico e di malattie chirurgiche. Ironicamente, fu proprio il successo della professione nel definire la chirurgia in termini di conoscenze e pratiche specialistiche e nell’ottenerne il riconoscimento pubblico a innescare la propria distruzione in quanto gruppo professionale vasto, unito e altamente stratificato, comprendente professionisti a livelli diversi di esperienza, capacità e condizione sociale.Creata durante la prima metà del secolo diciottesimo per conquistare l’indipendenza dalla professione medica, la definizione di

chirurgia nell’ambito di specifiche malattie aiutò a conseguire quest’obiettivo strategico e creò una certa coerenza intellettuale.Ma, come abbiamo visto, quando si trattava del loro lavoro, rimanevano valide vecchie nozioni per cui i chirurghi venivano considerati medici di second’ordine e anche  classe media contestarono questa concezione estensiva della loro professione, secondo la quale un chirurgo di paese, per quanto poco preparato, era pur sempre meglio di nulla. Alla vigilia della Rivoluzione il consenso professionale era in gran parte venuto meno. Di pari passo con quella della stessa monarchia, l’autorità del primario chirurgo si era erosa. I chirurghi d’elite rifiutavano la loro precedente leadership, e si univano ai loro rivali professionali del passato, i medici, nel condannare l’incompetenza dei chirurghi di più basso livello.

 

Toby Gelfand

Traduzione dall’inglese di Alba Vivante Akwei Titolo originale :”Chirurghi dei lumi” pubblicato su Kos 1,febbraio 1984 pp.51-71

 

Toby Gelfand, Ph.D., è Associate Professor presso la prestigiosa Hannah Chair of thèHistory of Science dell’Università di Ottawa, Ontario. E’ autore di numerosi saggi pubblicati nel “Bulletin of the History of Medicine”, nel “Journal of the History of Medicine”, e nella “Revue d’histoire moderne et contemporaine”. Ha pubblicato di recente il volume”Professionalizing Modern Medicine. Paris Surgeons and Medical Science and Institutions in thè 18th Century”, Westport 1980.

 

(1) Académie de Paris, Archives de l’Académie Royale de Chirurgie ( AARC), Carton 37.

(2) “Paziente”, Dictionnaire de l’Académie Francaise, Nimes 1778: “criminel condamnè par la justice et livré entre les mains de l’Exécuteur… on appelle figurément patient, celui qui est entre les mains des chirurgiens,qui font sur lui quelque opération douloureuse”; Jean Verdier, La Jurisprudence de la Médecine en France, Alencon 1762,Vol.I pp. 610-11.

 (3) “Anatomia “, Encyclopédie, ou dictionnaire raisonné des sciences, des arts, et des métiers,Paris 1751, Voi. I, pp. 409-410.

(4) Cours d’Opérations de Chinirgie, 8a ed.,Parigi 1782, pp. 217-218; George Arnaud,Mémoires de Chirurgie, London 1768, Voi. II,p. 700, notò che la vista di un tavolo operatorio”a quelquefois inspiré tant d’horreur, à certains Malades, qu’on en a vu refuser de se soumettre à l’opération”.

(5) Histoire de l’Académie Royale des Sciences 1785, Paris 1788, p. 43.

(6) “Liens”Encyclopédie, 1765, Vol. IX, p. 490;Vedi Mémoires de l’Académie Royale deChirurgie (MARC), Paris 1743, Voi. I, p. 298.

(7) Gabriel Mareschal de Bièvre, Georges Mareschal, Plon, Paris 1906, pp. 164-165;Ronald Grimsley, Jean D’Alembert, Clarendon Press, Oxford 1963, p. 288; Antoine Louis, “Eloge de Foubert”, 1768, Eloges lus dans les séances publiques de l’Académie Royale deChirurgie, ed. Dubois d’Amiens, Paris 1859,p. 126 (Eloges ARC):Maurice Mével,Chirurgiens dijonnais au XVIII siècle, Lyon 1902, p. 39.

(8) Boulet, “Observation sur un cancer occult au sein, guéri par l’amputation” Journal deChirurgie, II, 1 792, p. 211; Derregaix,”Amputation de l’avant-bras, nécessitée par les suites d’une entorse du poignet”ibid, p. 335.

(9) AARC, Carton 36. Il ventinovenne venne all’Hòtel-Dieu a causa della sua paura di “unemort prochaine”. In casi di grave stasi
urinaria, un’operazione poteva salvar la vita.Tuttavia il dolore sembra esser stato il fattore decisivo nel decidere i pazienti a sottoporsi a operazioni chirurgiche importanti. Ferrandriporta il caso di un conciatetti che aspettò quasi un anno dopo essersi fatto una ferita grave a una gamba, complicata da un grosso”tumore “, prima di venire ali Hotel-Dieu. Ferrand amputò alla coscia: “opération que le maladie exigeait et que le malade sollicitaitvivement à cause des douleurs atroces quii éprouvait”AARC.Carton 58

(10) “Académie Royale de Chirurgie”, Tableau de Paris, Amsterdam 1783, Voi. V, pp. 97-104, esp. p. 99.

(11) “Mémoires de l’Académie de Chirurgie”, Tableau de Paris, Voi. IX, pp. 112-117;”Médecins”, ibid, voi. II, pp. 57-60; “Société
Royale de Médecine”, ibid, Voi. II, pp. 60-62.

(12) “College de Chirurgie”, Tableau de Paris, Vol. Vili, p. 75.

(13) Vedi Peter Gay, Thè Enlightenment: An Interpretation, Voi. 2, Thè Science of Freedom, Knopf, New York 1969, pp. 12-23.

(14) “Première lettre d’un citoyen zélé, qui n’est ni chirurgien ni médecin à M. de M(orand)…16 dec. 1748”, in Correspondance, a cura di Georges Roth, Paris 1955, Voi. I, pp. 59-71

(15) Antoine Louis,Dictionnaire de Chirurgie,communique a l’Encyclopedie.Paris 1772,2 Vol,pag.540

 

(16) Vedi Guy Besse, “Aspects du travaii ouvrier au XVIII siede en France”, in Essays onDiderot and thè Enlightenment in Honor of Otis
Fellows, a cura di John Pappas, Droz, Genève pp. 71-88.

(17) Recherches critiques et historiques sur l’origine, sur les divers états et sur les progressde la chirurgie en France, Paris 1 744, pp. 23-24

(18) Jean Goulin, “Chirurgie”, Encyclopédie méthodique: Médecine, Paris 1792, Voi. IV, p. 815, Vedi anche Eloges ARC, pp. 164, 194-195, 199, 299-300.

(19) “Eloge de M. Bordenave” Histoire de l’Académie Royale des Sciences 1782, Paris 1785, pp. 78-79.

(20) Due importanti scienziati criticarono l’Accademia di Chinirgia su queste basi. Vedi E. Hintzsche “A.V. Hallers ‘Prospectus d’un dictionnaire universel de médecine’ in Gesnerus,XXIII, 1966, p. 51; Xavier Bichat, “Description d’un nouveau trépan”, Mémoires de la société Medicale d’Emulation, //, / 799,pp. 277-280. Sulle divergenze all’internodell’Accademia, vedi Dubois d’Amiens, Eloges ARC, XXII1-XLI e AARC Cartons 4,9,11.

(21) Vedi H. Ingrand, Le Comité de Salubrité del’Assemblèe Nationale Constituante (1790-91), Thèse de médecine, Paris 1934. I chirurghi protestarono violentemente contro la loroposizione inferiore con numerose petizioni inviate all’Assemblea Nazionale nel 1 790-91.Vedip.es. quelli dei chirurghi di marina a Brest. ANAD Vili, 33, AD VII, 37.

(22 )”Discours sur le perfectionnement de la Médecine opératoire, pendant le XVIIl siede”,Séance publique de l’Ecole de Médecine de
Paris du 24 Vendémiaire, an 10 [1802], Paris, 1802.

(23) I contributi di Jean-Louis Petit (1674-1 750) includevano studi sui tumori alla cistifellea,sulla cateratta, la rottura del tendine d’Achille, aneurismi, il meccanismo della coagulazione, e il controllo dell’emorragia durante un’amputazione a mezzo di una pinza emostatica.

(24) Zachary Cope, William Cheselden Livingston, Edinburgh 1953.

(25) Il seguente è basato su Dionis, Cours d’Opérations, pp. 239-249: Martin Lister, A Journey to l’aris in thè Year 1698, London 1699, nuova ed. University of Illinois, Urbana1967, pp. 236-240; James Douglas, Thè History of thè Lateral Operation, London, 1726; Vacher, Histoire de Frère Jacques, Besancon 1756; “Taille” Encyclopédie, Neufchàtel 1 765, pp. 846-856.

(26 )Bibliothèque de l’institut (Paris), MS 1 797, “Relation d’un voyage en Angleterre auxfrais de l’Académie des Sciences en 1 729 pour perfectionner les recherches sur la taille de M. Cheselden”; S.F. Morand, “Eloge de Cheselden”, MARC, III, pp. 112-114.

(27) S.F. Morand, “Recherches sur l’Operation de la Taille”, in Opuscules de Chirurgie,Paris 1772, Voi. II, pp. 120-125.

(28) AARC, Canon 37; MARC, III, 623-656; Eloges ARC, pp. 112-113.

(29) Mareschal, Georges Mareschal, pp. 498-501.

(30) Gelfand, PMM, pp. 63-67.

(31) Louis, Eloges ARC, pp. 107, 193, 322-323.

(32) Gelfand, PMM, pp. 6-8. La retorica nei saggi di lode inviati all’Accademia di Chinirgia testimoniano l’ideale di una professione cosmopolita, allo stesso tempo unita, centralizzata, e gerarchica. Vedi p. es.AARC, Carton 51, pièce 97.

(33) Gelfand “Thè Origins of a Modern Concept of Medicai Specialization: John Morgan’sDiscourse of 1 765”, Bulletin of thè History of
Medicine, L, 1976, pp. 511-535.

(34) “Chirurgie”, Encyclopédie, Vol. Ili, pp. 350-352

.(35) Francois de Paule de Combalusier, La subordination des chirurgiens aux médecins,démonstrée par la nature des deux professions et par le bien public, Paris 1 748; Antoine Petit, Discours prononcé aux Ecoles de Médeeine pour l’ouverture du cours de chirurgie,Paris 1757, pp. 11-12.

(36) Gelfand “Thè Origins of a Modern Concept of Medicai Specialization”, pp. 529-535: vedi p. es., il punto di vista di Bichat sull’interdipendenza della medicina e della chirurgia “Discours preliminare’, Oeuvres chirurgicales de P.J. Desault, Vol. I, pp. iii-iv; “Cours de Médecine opératoire ou des opérations de chirurgie”. introduzione, MS alla National Library’ of Medicine, Bethesda. Maryland.

(37) Examen Impartial. pp. 20-21.

(38) Délibérations de l’Ancien Bureau de l’Hòtel-Dieu, a cura di Leon Brièle, (1656, 26 avril; 1659, 13 juin): Marcel Fosseyeux, L’Hótel-Dieu de Paris au XVII et au XVIII siede, Berger-Levrault. Paris 1912, pp. 295-299

(39) Délibérations de l’Hótel-Dieu (1679, n11 janvier; 1735, 3 mai).

(40) Morand, “Recherches sur l’Opération de la Taille”, p. 126. L’indice di mortalitàevidentemente migliorò più tardi nel scolo, dopo l’adozione del metodo laterale-12,5%all’ospizio del Collegio di Chirurgia (1 787-1 792), e 9,3% all’ospedale Lunéville (1 771-1788). AARC, Carton 37. Mancano statistiche per l’Hótel-Dieu di Parigi in questo periodo. Vedi Owen H. Wangestien et al “Lithotomy and Lithotomists: Progress in Wound Management from Franco to Lister” Surgery LXVI, 1969, pp. 929-952.

(41) Mémoire presente au Roy par son premier chirurgien, Paris 1749, pp. 32-34 (copia in BN 4°  T18 lèi, Voi V, pp. 408-458); Bibliotèque municipale de Metz, Louis MSS, M5 1320,Nouvelle liasse III, pièce I, (1765, 7 avril)

(42) Mémoire pour Louise La Peyronie (1 748) , f. 2 (copia in BNf FM 17307).

(43) Georges Arnaud, A Dissertation on Hernia or Ruptures, London 1 748, pp. XX-XIArnaud, Mémoires de Chirurgie, Vol I, V e Vol 2, appendix, p. 2. In un curioso saggio del1745 (AARC, Carton 15), Arnaud fece un’analisi dell’incidenza dell’ernia e del suo impatto sulla demografia del regno. Qui asseriva un’incidènza globale del 12,5%. Un’indagine successiva dell’incidenza dell’ernia fra i pazienti degli ospedali di Parigi mostrò: 7% (fra i soldati agli Invalides), 5,5% (adulti di sesso maschile al Bicétre), 3, 7% (fra le donne alla Salpétrière), 2% (bambini al Pitié)MARC, V, 885-559.

(44) Antoine Petit, Discours p. 18.

(45) Ménaoire presente au Roy par son premier chirurgien, Paris 1749, pp. 31-32, 43.

(46) Liste annuali dei nomi e degli indirizzi dei maggiori chirurghi di Parigi che apparivano sugli Almanachs royaux.

(47) Il connubio fra il lavoro di barbiere e di chirurgo continuò nelle città e nei centri piùpiccoli. Per esempio, nel 1768 il rettore del Collegio dei Chirurghi di Tolosa espressesolidarietà per i suoi colleghi di Rouen: “la chirurgie ne dégraderait point par le seul exercise de la rature qui d’ailleurs nepourrait ètre exercée que par les élèves étant chez les maitres ou leurs veuves” AD Seme Maritime 51] 258 (1 768, 24 décembre). Vedi anche T. Gelfand “From Guild to Profession: Thè Surgeons of France in thè 18th Century” in Texas Reports on Biology and Medicine, XXXII, 1974, pp. 121-134. spec.p. 130. Alcuni importanti chirurghi di Tolosa e di altre parti, comunque, rinunciarono formalmente a qualsiasi coinvolgimento con la pratica del lavoro di barbiere. AD Haute Garonne E 1152 (1 752, 1 mars).

(48) Gilbert, L’Anarchie medicinale,  Vol I. p. 357.

(49) Volume I del MARC (1743) contiene 180 contributi: 132 erano di chirurghi di Parigi. Un’ulteriore analisi mostra che 13 chirurghi scrissero un totale di 54 contributi e che tremembri dell’elite (La Peyronie, J.L. Petit e Quesnay) ne scrissero 42. Fra i 54 membridell’elite dell’Accademia (funzionari e membri del consiglio permanente), 31 o quasi il 60%dettero almeno un contributo mentre solo il 5% dei restanti 200 chirurghi principali di Parigi,dettero un solo contributo.

(50) “Vedi Gelfand, PMM, pp. 87-88, 101-102, 143.

(51) “ Mémoire presente au Roy par son premier chirurgien, pp. 31-32.

(52) Toby Gelfand, “Medicai Professionals and Charlatans. Thè Comité de Salubrité enquète of 1 790-91 ” in Histoire Sociale-Social History. XI, 1978,62-9

chiralità

Dalla chirurgia alla chiralità della natura

 

Spesso a rincorrere le parole si intraprendono avventure inattese .Le parole infatti hanno un loro peso ed una propria spesso lunghissima storia con intrecci affascinanti.Il termine “chirurgia” ,per esempio, contiene il suffisso chir dalle molteplici implicazioni storico-linguistiche.Chir- o Cheir-,infatti derivano dal termine greco xeir mano.E banalmente quindichirurgia è l’attività eseguita con le mani a fini clinici.Ma se indaghiamo piu’ a fondo nella radice della parola e nel mito che se ne è appropriato sin dalle origini ,scopriamo che da xeir deriva il nome di Chirone il centauro saggio e sapiente che allevò eroi e divinità quali Achille ,Giasone, Asclepio (o Esculapio nella tradizione latina) e che in tutta la cultura ellenica ha rappresentato l’azione curativa e le origini concettuali dell’atto medico, tra divino ed umano,teso ad alleviare le innumerevoli nostre sofferenze.Chirone oltre ad essere anch’esso un grande medico praticava la chirurgia,come il suo stesso nome lascia capire.E con lui entriamo nelle origini del lessico sanitario.Nella tradizione infatti Chirone era una presenza mitica benevola ,aiutava l’umanità con acque salutari,piante e miscugli,ma anche con atti chirurgici veri e propri(si veda la sostituzione dell’osso della caviglia di Achille).Asclepio,figlio di Apollo,educato da Chirone da parte sua aveva trasmesso agli uomini insegnamenti portentosi sconfiggendo una grande quantità di malattie ed era addirittura giunto a scoprire il modo per resuscitare i morti.Era stato tanto efficace da rischiare una primordiale crisi demografica.Tanto pericolosa da indurre Ade ,divinità della morte,a chiedere a Zeus un suo intervento riequilibratore.Zeus provvide tempestivamente fulminando Asclepio e trasformandolo in costellazione(quella del Serpentario).Maltus dubito conoscesse questo timore primigenio delle crisi da sovrapopolazione!Asclepio inoltre aveva due figlie non da meno :Igea da cui è derivata la parola Igiene e Panacea da cui il farmaco miracoloso per eccellenza.Per non dimenticare poi la mitica Scuola Medica degli Asclepiadi di cui Ippocrate fù il piu’ noto successoreIl suffisso all’interno del nome del mitico centauro quindi ci introduce davvero nella struttura lessicale del sapere a fini curativi e soprattutto chirurgici.Priorità del pensiero come si vede in ogni epoca ed alle radici della civiltà occidentale stessa.Certo oggi Ade qualche protesta sicuramente la riproporrebbe!

Ma se andiamo oltre scopriamo che tale suffisso è stato successivamente adottato da tutte le scienze che trattano lo spazio tridimennsionale quali la fisica ,la matematica e la chimica per descrivere una peculiare proprietà anche delle nostre  mani:la proprietà cioè di avere un’immagine speculare non sovrapponibile a sé stessa.Se le guardiamo con attenzione entrambe aperte ci accorgiamo infatti che l’immagine speculare dell’una non è sovrapponibile all’altra .E tutto questo perché hanno un verso,per distinguerle infatti ne definiamo una destra ed una sinistra.Posseggono cioè una propria chiralità e la preferenza della specie per il verso destro è tutt’oggi del tutto incomprensibile.Tale condizione si è poi scoperto essere una delle modalità strutturali dell’architettura della natura.Abbiamo così scoperto il principio costitutivo della Chiralità.Da quando Pasteur,infatti,davanti All’Accademia francese delle Scienze formulò l’ipotesi fondamentale che “l’univers est dissymetrique”la scienza moderna ha evidenziato con forza la chiralità dell’universo stesso.Dalla  scala atomica ,a quella umana ,sino alla scala del cosmo,si è dimostrato che la natura è chirale ,ossia mostra una preferenza o per la destra o per la sinistra.Di questa asimmetria ,che sembra universale,si stanno oggi cercando di comprendere le correlazioni profonde.

E qui chi piu’ ne ha piu’ ne metta:aminoacidi destrogiri o levogiri,cristalli che virano fasci di luce polarizzata in un verso o nell’altro,catene di DNA che formano spirali con senso di percorrenza,piante rampicanti che si attorcigliano intorno ad un tutore con un  verso predeterminato,buchi neri e galassie che formano gorghi cosmici verso destra o verso sinistra,funzioni matematiche ed equazioni che esemplificano questa condizione e che ci permettono di descriverla nell’infinitamente piccolo e nell’infinitamente grande.Per non trascurare il foro di scarico delle nostre doccie domestiche dove distrattamente vediamo formarsi il gorgo delle acque reflue che addirittura cambia verso al cambiare dell’emisfero…..ma qui le cose si complicano con l’asse di rotazione terrestre e Coriolì.E cito solo alcuni esempi.Non solo quindi la politica vira verso destra o verso sinistra ,ma il mondo stesso e con esso tutto l’universo.Chi l’avrebbe mai detto da due semplici mani!

Ma l’attenzione verso questo concetto derivato dalla parola chirurgia,e soprattutto verso l’attitudine di  pochi  ad osservare con acume e libertà le manifestazioni apparentemente scontate del mondo che ci circonda,mi è stata indotta da un grande maestro del pensiero scientifico e della Chirurgia, recentemente scomparso ,che decise di dedicare proprio a questo concetto la lezione magistrale di addio alla propria attività accademica.La suggestiva lettura magistrale che Luciano Lorenzini dedicò nell’ormai lontano 1990 a noi studenti,torna spesso nella mia mente insieme al rimpianto di  un pensiero scientifico-umanistico che talvolta non riesco piu’ a scorgere nella mia pratica clinica.

L’Editore 8/12/2012

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EBM……

Va bene EBM,ma…..

 

 

Sono passati ormai quasi 40 anni da quando Archie Cochrane,un epidemiologo scozzese,pubblicò nel 1972 il suo storico lavoro “Effectiveness and efficiency:random reflections on Health Services”.Da allora i concetti da lui stigmatizzati per una pratica clinica basata su prove di efficacia (evidence-based practice) hanno progressivamente permeato il mondo scientifico e tutti noi oggi utilizziamo nelle nostre relazioni scientifiche la metodologia e la nomenclatura introdotte da Sackett e Guyatt sin dal 1990.Nel 1992 apparve per la prima volta, in un articolo di Guyatt ,il termine “evidence-based medicine” EBM appunto.Da allora la rivista cult della metodologia medico-scientifica ,il British Medical Journal,ha sfornato periodicamente sintesi e linee guida EBM compatibili,le assicurazioni americane hanno atteso le nuove”EB guidelines” per sostenere l’uso dei nuovi farmaci e devices,sempre di piu’ in tutti i paesi avanzati le scelte politiche relative alla Salute Pubblica sono passate per questo importante vaglio.Siamo quindi finalmente giunti alla definizione di una strada sicura,prudente ed efficace per utilizzare vecchi rimedi ed introdurre nuove soluzioni.Studio prospettico-randomizzato-pluricentrico-in doppio ceco,revisioni con metaanalisi,livelli di evidenza IA sono divenuti per tutti noi sinonimo di razionalità e sicurezza.Usciamo,infatti, da 2500 anni di tentativi spesso irrazionali e nonostante i timidi tentativi metodologici di alcuni pensatori dell’antica Grecia , dell’antica Cina e soprattutto di Avicenna con il suo Canone dell’XI secolo,solo da qualche decennio ci siamo tuffati, finalmente, nella modernità metodologica anche in campo clinico.

 Il nuovo modello EBM generalmente accettato è quello introdotto da Haynes nel 2002 con l’introduzione del ruolo centrale dell’esperienza clinica nell’integrare il contesto clinico,lemigliori evidenze disponibili e le scelte dei pazienti.

 Ma la necessità di dover introdurre subito un nuovo modello rispetto all’originale del 1996 sottolinea un aspetto di distonia che già nella mia personale esperienza è emerso piu’ volte con forza e stupore negli ultimi 20 anni di pratica clinica.Proprio io, fautore di un metodo scientifico accettato da tutti,per di piu’ formato nell’amata Scozia ,da me adottata come patria  culturale,proprio io mi sono trovato a constatarne i limiti in almeno due svolte epocali alle quali casualmente mi sono trovato a compartecipare.Malgrado tutto rimango un convinto assertore dell’utilità dell’EBM ,cio’nonostante……..

 

Nei primissimi anni ’90 mi trovai,specializzando agli ultimi anni di corso,nella Glasow allora capitale della cultura e dell’innovazione,a vivere in prima persona la potente svolta tecnologica che avrebbe per sempre cambiato le strategie della chirurgia vascolare.Il gruppo che frequentavo presso il Royal Infirmary di Glasgow,infatti,stava collaborando in modo strettissimo a tracciare una strada che l’industria americana aveva già deciso di percorrere:la chirurgia endovascolare.La prima endoprotesi era già stata impiantata con successo nell’89 a BuenosAires da Parodi,Detrich a Scottsdale (Arizona)aveva preso il comando della cordata anglo-americana in questa nuova avventura e De Bechey aveva dato la sua benedizione;dall’altra parte dell’oceano come sempre francesi e tedeschi cercavano di dare un loro contributo originale.Io anglofilo da sempre ,tifavo per per gli anglo-americani ed in particolare per il caro Jonh Pollock ,padre di molta chirurgia vascolare di allora (clamp aortico di Pollock,graft protesico aorto-iliaco in dacron impregnato di gelatina,ecc.) e direttore appunto dell’istituto di Glasgow.Una amicizia nata per caso,bellissima.Da allora lo seguii in Scozia ed Arizona sino ai primi impianti in Europa,il resto è la storia che tutti conosciamo e che le società scientifiche europee ed americane custodiscono.In quella fase pionieristica però nessuno degli ingradienti necessari per una credibile EBM erano presenti:scarsissima esperienza clinica specifica (si consideri che le procedure erano in gran parte radiologiche e si vociferava della necessità di una novella “radiologia interventistica” perché a nessun chirurgo piaceva passare le giornate al tavolo radiologico!),evidenze scientifiche in letteratura pressoché nulle(qualche “case report”,nessun lavoro prospettico randomizzato),contesto clinico se possibile ostile (dati i costi),consenso del paziente discutibile (come sempre correlato alla capacità di convinzione del chirurgo).Se avessimo reso vincolanti i criteri EBM la chirurgia endovascolare non sarebbe mai nata.Fu allora una avventura incosciente?.No,sicuramente no.Sin dall’inizio ero assolutamente convinto che la strada era giusta e percorribile in relativa sicurezza.L’enorme preparazione dei chirurghi in gioco,il contesto scientifico di altissimo livello,la collaborazione senza limiti finanziari dell’industria resero possibile “lo sbarco sulla luna”senza aprire l’addome,incredibile!Poi vennero il nitinolo che cambia volume e lunghezza al cambiare della temperatura,la digitalizzazione delle immagini che permetteva di avere in tempo reali immagini 3D ed addirittura modelli solidi delle aorte da operare,sonde ecografiche endoluminali,amici e colleghi della mia età che ogni giorno inventavano qualche cosa di rivoluzionario in un clima scientifico che ritenevo irripetibile.Una vera sbornia di innovazioni e geni.Oggi molte delle procedure di allora sono state validate da metaanalisi di studi prospettici-randomizzati-in doppio ceco,altre sono risultate non del tutto valide.Ma la storia della chirurgia vascolare è comunque cambiata per sempre.

 

Sempre in quegli anni,mentre io mi occupavo di chirurgia vascolare,nel campo della chirurgia generale il chirurgo di Lione Philippe Mouret   veniva radiato dalla società francese di chirurgia per aver eseguito la prima colecistectomia mininvasiva laparoscopica (1987).Oggi chi non si sottoporrebbe ad una tale procedura universalmente accettata come gold standard?Anche in questo caso solo oggi l’evidenza scientifica è di tipo IA.E così è stato per i primi colon oncologici laparoscopici e più recentemente per i primi stomaci oncologici trattati in modo mininvasivo.Proprio negli anni della strutturazione del metodo EBM,l’innovazione è stata così repentina che i pionieri si sono dovuti muovere in assoluta solitudine.Come sempre nella storia della scienza!

Ed è in questo contesto esplosivo che per gli itinerari strani della vita agli inizi degli anni 2000 mi sono ritrovato a lavorare  nel contesto della chirurgia generale,nella mia piccola città natale,per la seconda volta al centro di una svolta epocale:l’applicazione della robotica alla chirurgia generale.Incredibile una cosa così grande in una città così piccola.In effetti la robotica era già da qualche anno utilizzata nelle chirurgie americane ma con procedure non standardizzate e non validate.Marescou aveva già eseguito la prima colecistectomia robotica trancontinentale con il paziente a New York ed il chirurgo a Parigi.Un grande innovatore,in quel momento in esilio nella mia città,era  pronto a verificarne applicazioni e limiti in contesti significativi della Chirurgia Generale.Forte della sua esperienza in chirurgia tradizionale e mininvasiva laparoscopica e toracoscopia ,iniziò un protocollo di “effectivness and safety” in ogni procedura di chirurgia addominale,toracica e vascolare maggiore.Ed iniziava nuovamente l’avventura.Ricordo l’emozione delle prime resezioni epatiche maggiori,delle prime duodenopancreasectomie,delle prime lobectomie polmonari.Tutte procedure mai eseguite prima ad addome o torace chiusi ,da nessuno,in nessuna parte del mondo!Ricordo anche che in Italia tutti ci consideravano pazzi chirurghi sperimentali,all’estero si respirava un mix di ammirazione e diffidenza,molte riviste internazionali non accettavano i nostri lavori scientifici faticosamente realizzati.Ma piano piano le cose sono cambiate,il nostro gruppo ha collezionato la piu’ importante e prestigiosa casistica al mondo,le riviste internazionali piu’ importanti hanno iniziato ad aprirci le porte,nessuno piu’ ci considera folli sperimentatori,Piercristoforo Giulianotti è divenuto cattedratico della prestigiosa University of Illinois in Chicago,sempre piu’ robot sono stati acquistati  ad uso clinico in Europa e nel mondo.Ma ormai anche questo è il passato.Oggi siamo  alla fase di evidenza clinica IA per la chirurgia robotica della prostata e probabilmente presto lo saremo anche per il retto basso e lo stomaco.Ma per 10 anni almeno abbiamo navigato a vista e che navigazione!

 

In questi 20 anni molte volte mi sono chiesto se era etico percorrere la strada in cui mi trovavo,e molte volte sono stato contestato,anche duramente.Molte volte mi sono chiesto se fosse necessario fermarsi mancando ogni minima prova basata sull’efficacia.Oggi penso che entrambe le modalità siano corrette e necessarie.Cio’ che fa la differenza è il contesto ambientale ed il gruppo in cui si lavora (proprio quella variabile legata all’esperienza chè è stata introdotta con tanta forza nell’ultimo modello EBM da Haynes).Si possono cioè intraprendere esperienze pionieristiche,spesso suggerite dalla grande industria,solo in contesti di eccellenza e questi oggi si possono concretizzare nelle sedi piu’ inattese in ogni angolo del globo,ma per divenire routinaria una procedura non deve solo essere fattibile e sicura ,ma anche utile ed economicamente sostenibile e qui l’evidenza EBM offre una metodologia di verifica insostituibile.Probabilmente domani scopriremo che alcune delle procedure endovascolari degli anni ’90 o di quelle robotiche degli anni 2000 non risulteranno così vantaggiose e verranno magari abbandonate a favore di altre piu’innovative ed economiche.Saremo però pressoché certi che ciò che ha superato il vaglio dell’evidenza clinica sia realmente utile ,facilmente ripetibile quindi sicuro e soprattutto sostenibile.

 

In sintesi l’innovazione richiede una dose di rischio e capacità di rottura che può essere assecondata solo in rari contesti di eccellenza,la standardizzazione di una procedura deve invece necessariamente essere validata dalle procedure EBM.Data la globalizzazione attuale,concludendo,non condivido sempre le scelte strategiche e di spesa condotte solo su criteri di evidenza clinica e sempre piu’ spesso sento importanti ricercatori di livello internazionale abbandonare intenzionalmente la strada dello studio multicentrico randomizzato……….Comunque spero di assistere(se mai ci sarà) alla terza svolta epocale della mia vita,quella degli anni ’10,in Polinesia!

L’Editore 8/12/2012

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