codice genetico espanso

codice genetico espanso

codice genetico espanso

codice genetico espanso

codice genetico espanso

Da circa 4 miliardi di anni tutte le forme di vita ad oggi conosciute sono state codificate secondo un codice universale genetico costruito con 4 basi appaiate in modo rigido (A/T G/C).In sintesi una sequenza binaria di coppie di basi.La vita sulla terra non conosce altra modalità di trascrizione,o meglio non conosceva! Sino alla nascita prepotente della novella biologia sintetica.

Un gruppo di ricercatori statunitensi della The Scripps Research Institute (TSRI) in La Jolla, California guidato da Floyd Romesberg ,ha recentissimamente cambiato le regole del gioco producendo artificialmente una sequenza genomica a 6 basi introducendo due nuove basi sintetiche X-Y.Il nuovo frammento si è stabilmente inserito nel genoma di un batterio (eschierichia coli) e si è addirittura riprodotto.In pratica la prospettiva fantascientifica di produrre un universo di proteine semi-naturali e quindi del tutto nuove e riconoscibili,concettualmente una rivoluzione copernicana di portata epocale.Si è espanso l’alfabeto della vita del 50% e questo è solo l’inizio.
Per fare un esempio semplificativo è come se il mondo digitale basato sul codice binario 0-1 si esprimesse da oggi con un nuovo codice 0-1-2 ternario dalle potenzialità esponenziali.
Praticamente un nuovo modo per produrre nuove proteine,cosa che già siamo in grado di fare con altri sistemi,concettualmente uno step difficile da esemplificare.E’come se l’uomo avesse deciso di riscrivere la vita con un nuovo alfabeto incredibilmente piu’ vasto.
Qualche cosa di molto simile allo sconcerto dell’uomo medioevale nell’apprendere che altri universi esistevano al di la del rassicurante modello delle stelle fisse.
Letta la notizia di agenzia e l’abstract della rivista Nature sono rimasto l’intera giornata frastornato e credo che necessiteremo tutti di molti mesi e forse anni per capire esattamente la portata di questo evento al confine tra fisica e metafisica.
In un mondo ormai soffocato dal rumore di fondo e dal vano cicaleccio,le notizie veramente epocali si distinguono per il silenzio imbarazzato dei piu’ che stentano a comprenderle!

L’editore 2 Luglio 2014

Licenza Creative Commons
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trend dialitico globale

 

 

le libertà di pensare ed agire sono una illusione?

E’ singolare che un chirurgo abbia frequentato un intero corso annuale di psichiatria durante la propria formazione universitaria e ne ricordi distintamente i contenuti ed  il docente che lo teneva.Eravamo intorno alla metà degli anni ’80 ed il docente che si occupava allora intensamente di “drug addiction” era un emergente Vittorino Andreoli.Lucido e moderno.Da allora ho seguito la sua evoluzione culturale e mediatica.Il suo metodo mi ha sempre convinto.Oggi un suo breve ed incisivo intervento sulla stampa mi aiuta ad esemplificare i dubbi crescenti che tutti noi nutriamo riguardo ai concetti tradizionali di “libertà” ed ,aggiungo io, “razionalità”.Un ripensamento radicale sul “cogito ergo sum”che dà il nome a questa rubrica!

 

La libertà è un’illusione :i meccanismi con cui l’incoscio guasta i nostri progetti

di Vittorino Andreoli

Psicopatologia della vita quoti­diana di Freud viene pubblicato nel 1901, un anno dopo L’interpretazione dei sogni con cui si fa na­scere la psicoanalisi. Pur avendo avuto aggiunte fino al 1924, è dun­que una delle opere di base nella costruzione del pensiero e della tecnica psicoanalitica. Nonostante l’«età» sono molti i punti utili alla modernità, e ciò che mi pare anco­ra rivoluzionario è quanto Freud ci dice sulla libertà.

Come si pone il legame tra que­sta aspirazione e l’inconscio? Ri­mane, nonostante le diverse modulazioni, la certezza di una parte inconscia dentro I’lo, una compo­nente della struttura di personali­tà di cui non abbiamo consapevo­lezza e che tuttavia agisce e condi­ziona il nostro comportamento.

Se dunque è possibile scegliere un’azione e fortemente volerla, ciò non impedisce all’inconscio di entrare nei nostri progetti e desi­deri fino a renderne impossibile la realizzazione oppure a compierli in un modo diverso da come avremmo voluto: il divario tra es­sere e voler essere. Pertanto la li­bertà come possibilità di scelte qualsiasi è illusoria. E sul piano pratico si scontra sempre con limiti e blocchi che noi stessi incon­sciamente poniamo alla realizza­zione di quelle scelte.

Verrebbe da dire che la libertà ri­mane un’idealizzazione rispetto a condizioni esistenziali che invece ci tengono dentro un percorso che non è mai scelto, ma almeno in parte imposto. E la libertà rimane un’illusione. Freud non elabo­ra queste considerazioni sulla ba­se di una teoria, di un sapere dun­que astratto, ma le svela attraver­so le piccole cose, quei fatti che riempiono la quotidianità: gli atti mancati,gli automatismi comportamentali, i lapsus, le amnesie. So­no certo di aver chiuso la porta, ma la controllo ancora tre volte.

L’inconscio insomma si intro­mette silenziosamente e misterio­samente per impedire di compie­re gesti o azioni che potrebbero ri­portare ad esperienze traumatiche e dunque dolorose, oppure al con­trario inserisce la propria forza e conduce ad azioni che sostituiscono quelle programmate. Forze che si legano ad una memoria inconsa­pevole che dunque agisce senza giungere alla coscienza.

Il tema della libertà non ha an­cora tenuto in debito conto questa dimensione del nostro Io e noi fin­giamo di pensare ad un uomo libe­ro che capisce e vuole e dunque sceglie razionalmente un compor­tamento (intelligere) e vi applica la volontà per realizzarlo.

Un assunto assurdo alla luce del­la Psicopatologia della vita quoti­diana che è però ancora stampato nel codice penale: si afferma che la responsabilità si lega alla «capa­cità di intendere e/o di volere». Ed è questo il quesito che il giudice chiede al perito psichiatra per po­ter decidere e stabilire la pena.

Insomma dominano il capire e il volere. E l’inconscio? Come si fa a parlare di libertà e di responsabi­lità, ignorandolo?

Non è certo mia intenzione to­gliere la responsabilità nell’agire, ma soltanto sostenere (come Freud 110 anni fa) che non si può capire e giudicare un’azione e dun­que un uomo senza considerare questa dimensione dell’Io che al­berga in ciascuno di noi.

Corriere della Sera Venerdì 13 Maggio 2011

medicina e probabilità

Medicina e probabilità

Nessun medico ignora la parte di “scommessa” e di azzardo connessa alle pratiche del diagnosticare e del curare; poco tuttavia se ne parla (quasi si temesse di rivelare debolezze e alee della professione) e poco i medici sanno dei fondamenti della statistica e della probabilità.

A questi fondamenti, e alle loro intersezioni con il sapere medico, è dedicato quest’articolo.

 “L’arte della medicina è congetturale”, scriveva Celso venti secoli orsono; “è proprio della congettura essere più spesso vera che falsa, ma talvolta di essere non pertinente. Un segno che inganna una volta su mille non deve essere respinto, poiché da affidamento nella maggior parte dei casi effettivi” (De medicina, ii, 6). Una lunga tradizione radicata nel Corpus ippocratico vuole che il buon medico sia colui che fa una diagnosi giusta, perché “sa valutare i segni e calcolarne il valore” (Prognosi, 25). Certo, non c’è intuizione senza esperienza, trasmessa o acquisita. Lo studente ha appreso dai suoi maestri che “l’epilessia non si dichiara dopo i vent’anni a meno che non covi fin dall’infanzia” (Sul morbo sacro, 13), che “le diete liquide sono opportune in tutti i casi di febbre soprattutto nei giovani” (Aforismi, 16), che “le sudorazioni più benefiche nelle malattie acute sono quelle che avvengono nei giorni critici e che stroncano la febbre” (Prognosi, 6). Il medico deve sempre essere attento alle regolarità empiriche (Acque, arie, luoghi, 1): l’andamento delle affezioni cambia con il clima, la stagione, il regime dei venti e delle acque (“Perché la gente si sente più stanca quando il vento soffia dal sud?” si legge nei Problemi aristotelici, XXVI, 42). Ma al capezzale di un paziente, per ricostruire il corso della malattia e prevederne l’evoluzione (la prognosi ippocratica), non è sufficiente esprimere dati generici, occorre riflettere su ciò che ci è dato osservare nel caso particolare: più il medico è in grado di identificare i sintomi e interpretarli, più la conclusione che trarrà dalle sue osservazioni avrà probabilità di essere esatta (Prognosi, 25). I filosofi contemporanei di Ippocrate hanno tentato di descrivere questo tipo di ragionamento nel quale, da premesse parzialmente incerte o lacunose, si sfocia alla conclusione più probabile. Platone oppone le scienze della natura alla matematica: in geometria un’argomentazione plausibile non ha valore, si esigono dimostrazioni che procedono per necessità (Teeteto, 162e), mentre per la spiegazione di fenomeni naturali ci si deve accontentare di una ricostruzione verosimile dei fatti ( Timeo, 29c). Aristotele conferma che è necessario “esigere, in ogni materia, soltanto quel rigore che la natura del soggetto comporta”: “trattandosi di cose che sono vere soltanto in modo approssimativo, e partendo da premesse la cui verità non è neppure assoluta, non si possono trarre conclusioni che superino in certezza ciò che le fonda” (Etica Nicomachea, I, p. 3). Più tardi, Carneade paragona la procedura diagnostica a una procedura giudiziaria: per un affare banale, ci si rimette a un solo testimone (un sintomo), nei casi più seri, si interrogano svariati testimoni (un insieme di sintomi: una sindrome), per le questioni più gravi ancora si confrontano i testimoni e si correggono le testimonianze l’una con l’altra (Cf. Sextus Empiricus, Summa contra logicos, I, p. 182). Presto fu intuita l’esistenza di una “logica” comune agli argomenti di probabilità, qualunque sia il contesto, teorico o pratico, nel quale essi appaiono: in tribunale per stabilire i diritti delle parti, negli affari per giudicare il miglior investimento, in meteorologia per prevedere l’evoluzione del tempo, dal pulpito per difendere la religione dagli attacchi degli increduli. Si tratta sempre di raccogliere indizi, discuterne il valore, valutare il grado di plausibilità che essi conferiscono alle ipotesi da prendere in considerazione. La valutazione rimarrà pur sempre qualitativa, sino alla fine del Medio Evo quando, nell’ambiente dei mercanti europei, si diffonderà l’abitudine di valutare numericamente le perdite e i profitti aspettati. Così, per assicurare un  carico contro i pericoli del mare, le compagnie di assicurazioni calcolarono l’ammontare del premio tenendo conto del prezzo del carico e del rischio corso durante la traversata. “Periculum sortis incertum debet reduci ad certum pretium”, scriveva Lessius (1606). Non c’è molta differenza tra l’imprenditore, titubante su un affare con scarse probabilità di rendergli molto, contro uno più sicuro ma meno redditizio, e il medico che, per ridurre una frattura, esita fra un metodo senza troppi rischi per il paziente, ma a risultato funzionale mediocre, e un altro che fornisce solo irregolarmente brillanti risultati. Tuttavia i medici si mostrarono per molto tempo riluttanti ad esprimere in modo quantitativo le intuizioni che sottendono le loro scelte diagnostiche e terapeutiche. Ciò nonostante, la “teoria dei casi” trovò una sua forma matematica. La storia della sua nascita è stata descritta altrove.E’sufficiente ricordare qui che durante il diciottesimo secolo furono formulati sia i metodo di valutazione delle probabilità delle ipotesi, tenendo conto dell’informazione disponibile (Thomas Bayes, 1763; ripreso da Laplace, 1774), sia delle regole decisionali per le situazioni aventi una certezza parziale (minimax: de Waldegrave, 1712 ; massimizzazione dell’utilità: Daniel Bernoulli, 1738).

Claude Bernard constata, a metà del secolo diciannovesimo, che la medicina non si è ancora portata al livello di autentica pratica scientifica, malgrado lo sforzo fatto per accertare le correlazioni tra sintomatologia clinica e lesioni anatomiche sottostanti. Egli critica senza mezzi termini l’atteggiamento dei suoi colleghi: in ospedale, rimangono nell’aspettativa, scettici sull’efficacia dei rimedi; in città si prodigano in terapie dato che la clientela le esige, ma non fanno altro che dell’empirismo. Salassano i malati di polmonite, e questi guariscono: “II salasso guarisce la polmonite”, dicono allora. Taluni forniscono addirittura una statistica dei casi di polmonite salassate, e guarite. Ma non si è dimostrato un bel niente, sbotta Claude Bernard, finché non si è realizzata l’esperienza complementare che fa da “contro-prova”: “per ciò, è necessario … aver un certo numero di malalati colpiti da polmonite, tra loro paragonabili quanto più possibile per età, natura della malattia, ecc, di cui metà sono stati curati con salassi e metà con niente, cioè lasciati in attesa”.L’esperienza è stata tentata: “si è concluso che le polmoniti non salassate guariscono né più né meno delle altre.”Un medico che pratica il salasso in caso di polmonite fa … solo un esperimento.Se si fanno esperimenti, allora tanto vale farli correttamente. L’atto medico è una sfida alla natura, in un gioco dove ogni caso nuovo, individuale e diverso da ogni altro, è curato nel miglior modo secondo gli insegnamenti tratti dai casi precedenti, e fornisce a sua volta un’informazione in grado di influire sugli atteggiamenti futuri.” Invece di attenersi a generalizzazioni empiriche approssimative, Claude Bernard si augurava che venissero approfondite le singolari particolarità per scoprire, sotto l’apparente irregolarità dei fenomeni generici, il granitico basamento dei determinismi “assoluti e necessari”, la conoscenza dei quali permette in seguito di “prevedere e agire nel modo giusto”. Quindi la sua diffidenza nei confronti della statistica: “è più facile conteggiare i casi prò e contro che fare un ragionamento sperimentale”. Constatare, nella febbre tifoidea, che la diarrea si manifesta in 90 casi su 100, non spiega perché la diarrea è assente nei 10 rimanenti casi: deve esserci una causa precisa per tale variabilità sintomatologica, causa che lo studio differenziale dei casi deve mettere in evidenza. La saggezza medica comporta per tradizione un certo relativismo: ad ogni legge le eccezioni sono possibili, la natura è così complessa che nessuna generalità è vera in modo assoluto. Claude Bernard insorge con vigore contro tale credenza, persuaso che costituisca un fattore di ristagno. Biferisce di aver sovente discusso, con colleghi, il caso della vaccinazione; “La vaccinazione ha sempre successo o non lo ha mai a seconda delle condizioni”, egli assicura. “Dite quel che volete, ma la verità è che non sempre riesce”, insistono gli altri. C’è chi pensa che, di fronte all’insuccesso, il compito di una medicina scientifica sia di scoprirne la causa, e di darci la totale padronanza del fenomeno facendoci conoscere le condizioni esatte da soddisfare affinchè la vaccinazione abbia un successo assicurato. Altri giudicano illusoria, se non addirittura pericolosa, l’idea che si possa possedere una scienza compiuta,applicabile infallibilmente alla diversità sempre rinnovata degli esseri umani e dei loro ecosistemi.

Riflettendoci, si scoprirà forse che le due posizioni sono complementari più che opposte. Il “bernardiano” ritiene ogni fenomeno strettamente determinato dalle sue condizioni di esistenza, ma le condizioni nelle quali emergono i fenomeni non si riproducono mai in modo identico: egli crede alla regolarità e cerca le differenze. Il suo antagonista contempla una instabilità della natura: cause analoghe possono produrre effetti diversi, e cause diverse effetti analoghi. Egli crede nella diversità e cerca la regolarità. Infatti, non è necessario credere al caso per constatare le irregolarità, né attenersi al determinismo universale per trovare delle costanti. I fatti passati in rassegna dalla medicina sono poco stabili. Ignoriamo se si tratti di apparenze legate all’imperfezione delle nostre conoscenze, o di un elemento casuale insito nel funzionamento degli organismi. Non sappiamo se tutto procede da una ragione, oppure la natura a volte gioca di azzardo. Claude Bernard temeva che a furia di dubitare della regolarità dei fenomeni naturali si arrivasse ad accontentarsi di strategie intellettuali poco scientifiche. Ma l’evoluzione della medicina ha mostrato che è possibile ragionare con rigore su fenomeni irregolari senza giudicare a priori l’esistenza o meno di un determinismo latente, così come si può dominare un modicum di casualità, senza pretendere che tutto sia in linea di principio prevedibile. Fare congetture non è una sventura, purché tali congetture siano ritrattabili, e siano realmente ritrattate alla luce di ogni nuova informazione. I primi tentativi di “informatizzare” la diagnosi furono fatti alla fine degli anni 50′. Essi hanno consentito una notevole riflessione sui processi del ragionamento investigativo, il quale comunque non è appannaggio solo dei medici, ma viene anche praticato dai ricercatori scientifici, dai detectives, ecc.

 Questi tentativi hanno spesso collimato con i risultati delle analisi dei matematici probabilisti, vecchie di due secoli, in particolare con la prospettiva “bayesiana”. Alcuni medici (come il Dott. Jack Myers, internista a Pittsburgh), hanno sottoposto le loro operazioni intellettuali alla dissezione dei logici di mestiere. Cosa fa, in sostanza, colui che ricerca una diagnosi? Raccoglie ogni informazione disponibile, ne valuta l’importanza relativa, evoca ogni ipotesi in grado di spiegare i fatti, stima la verosimiglianza di ogni ipotesi nei confronti dei fatti, e generalmente procede per eliminazioni: tenta di squalificare il maggior numero possibile di ipotesi, trovando segni che le rendono improbabili, e di corroborare quella più plausibile con gli argomenti più forti di cui dispone. Da che cosa dipendono gli errori diagnostici? Molti provengono da omissioni (un’ipotesi è stata trascurata): l’elaboratore elettronico, date le sue capacità di memorizzazione, può essere utilissimo in questo caso, ricordando al medico l’elenco di tutte le malattie nelle quali si osserva un dato sintomo, eventualmente in ordine di frequenza decrescente, fino alle malattie più rare. Qualche errore è dovuto a diagnosi troppo affrettate (precipitazione o prevenzione, avrebbe detto Cartesio): si deduce che si tratta di quella data malattia sulla base di indici troppo scarsi. Per le esigenze stesse della sua programmazione, l’elaboratore permette di controllare che ogni tappa è stata considerata, e che ogni possibilità è stata correttamente esaminata. La lentezza del lavoro assistito dall’elaboratore può qualche volta spazientire: un clinico consumato è più svelto a districare il caso. Ma per lo studente è una buona scuola di metodo, come è stato dimostrato da recenti esperimenti nelle facoltà di medicina. E abbiamo tutti bisogno ogni tanto di ridiventare studenti.

L’insegnamento medico tradizionale addestra alla soluzione di problemi che, nel linguaggio probabilista, sono chiamati problemi diretti: data la malattia, descrivere i segni con i quali essa si manifesta (dato il colpevole, ricostruire il delitto; data un’urna la cui composizione è nota, indovinare quale tipo di campione ne sarà estratto). In presenza del paziente, il medico deve invece risolvere il problema inverso: dati i sintomi, trovare la malattia che li causa (dato il delitto, scoprire il colpevole; dato il campione prelevato, indovinare la composizione dell’urna). Per “fare la diagnosi”, ci dicevano i Maestri, “non basta consultare la vostra memoria o i vostri libri, occorre ragionare’. Infatti, la soluzione dei problemi inversi fa intervenire un tipo di ragionamento (induttivo?) per il quale il teorema di Bayes rappresenta all’incirca ciò che il modus ponens rappresenta per il ragionamento deduttivo (una regola d’inferenza). Il fatto che questo tipo di ragionamento sia soprattutto insegnato per esempi non impedisce — una volta tanto — di estrarne la “logica”. Iniziamo dall’immagine che, per quanto semplicistica, ha già dato prova del suo valore pedagogico.”‘

Allorquando un paziente va a consultare un medico, immaginiamo che il medico disponga di un certo numero n di urne (ipotesi diagnostiche) (fare una diagnosi vuole dire selezionare un’urna). La probabilità a priori che un’urna qualsiasi tra le n ha di essere scelta è anche chiamata “possibilità” della diagnosi. Il paziente ha estratto da una delle urne, all’insaputa del medico, un biglietto (la scelta dell’urna è stata fatta in assenza del medico, la persona ha “preso” una certa malattia). Il medico esamina il biglietto (il quadro sintomatico che il paziente offre). Il medico conosce la composizione delle urne. Valuta la possibilità che il biglietto provenga da tale o tale urna. La probabilità che l’ipotesi i-esima da all’evento (cioè che il biglietto provenga dall’urna i-esima) è la misura della verosimiglianza dell’ipotesi i-esima. 11 medico deve indovinare da quale urna è stato estratto il biglietto, cioè trovare la diagnosi che, a posteriori (dopo l’esame dei fatti), appare più probabile. Si tratta di riconsiderare, al lume dell’osservazione, la distribuzione iniziale delle chances che egli attribuiva alle diverse ipotesi. Qui sta il nerbo del ragionamento. Secondo il teorema di Bayes, la probabilità riveduta di un’ipotesi è’ proporzionale al prodotto della sua probabilità iniziale (a priori), con la verosimiglianza conferitale dai fatti.

Il fattore di proporzionalità è l’inverso della probabilità dell’evento stesso, cioè l’inverso della probabilità del “quadro clinico” considerato in sé e per sé. La procedura è iterativa. Se, al termine dell’esame clinico, il medico non ha elementi sufficienti per designare un’ipotesi decisamente più probabile delle altre, chiede al paziente di estrarn dall’urna un altro biglietto (prescrive esami complementari). I risultati della seconda prova permettono di riconsiderare la congettura precedente, così di seguito. Nei casi semplici (quani la vita del paziente non è in pericolo, quando la diagnosi sembra ovvia o importa poco precisarla meglio), la procedura si tronca dopo due o tre cicli il medico prescrive la terapia più adatta all’affezione giudicata più probabile (a volte una terapia mista, quando due ipotesi emergono a parità!), e adotta un atteggiamento di attesa (pensando ci un raffreddore non merita una radiografia e che, solo se un fenomeno nuovo dovesse manifestarsi, verrà il momento di riconsiderare il problema). Ci sono casi in cui è meglio non spinge oltre la diagnosi (quando il fastidio arrecato dalle analisi è peggiore di quel della malattia, oppure quando non si prevede alcun beneficio terapeutico da informazioni più precise). Ci sono inve diagnosi fatte per puro puntiglio, sottoponendo il paziente a tutta una sei di esami che rispecchiano e alimentano una ricerca a tastoni. Il limite da porre dipende dal prezzo che si è disposti a pagare per acquisire una maggiore certezza, dalla presunta utilità delle informazioni ricercate, dai rischi in cui incorre il paziente. Il calcolo delle probabilità, che costituisce l’inferenza diagnostica vera e propria, si integra a i calcolo di speranza matematica, dove 1 gravita delle conseguenze è presa in considerazione insieme alla loro probabilità. L’analisi del ragionamento medico deve allora passare attraverso g schemi della teoria della decisione.

 Fare una congettura iniziale, ricorrere a una esperienza-test, modificare la congettura secondo i risultati dell’esperienza: i tre tempi di questo procedere ricordano la procedura sperimentale descritta da Claude Bernard. Procedura “dubitativa” perché si fonda su ipotesi. Claude Bernard l’indovinava essere “deduttiva” nel senso in cui non si conclude più di quanto le premesse consentono. Lo metteva però in imbarazzo il fatto che ai suoi tempi “deduttivo” significasse “riducibile a una forma sillogistica valida”. Prendendo il termine “deduttivo” nel senso in cui è oggi inteso dai logici (diciamo: nella logica del prim’ordine), si può affermare che esistono ragionamenti investigativi interamente deduttivi. Esempio: per ipotesi, questo paziente ha una delle malattie A, B, C, … o nessuna di queste. Presenta il sintomo Er Non si osserva mai E, nella malattia A. Conclusione (per modus tollens): non ha la malattia A. Se avesse la malattia B, il test E2 sarebbe positivo, poiché lo è sempre in quella malattia. Il test E2 è negativo. Dunque non ha la malattia B (modus tollens, ancora). Supponiamo che le ipotesi formatesi inizialmente siano insieme esaurienti, e si escludano mutuamente, e che con una serie di test si possa eliminarle tutte tranne una: si potrebbe concludere con certezza deduttivamente) che la diagnosi rimasta è quella giusta. Lo si farebbe forse più volentieri disponendo di argomenti positivi? Prudenza! Il fatto che, nella malattia C, il sintomo Ev è sempre presente, non permette, constatando E.,, di concludere la presenza di C (non c’è febbre tifoidea senza febbre, ma ci può essere febbre senza che si tratti di febbre tifoidea, l’assenza di febbre permetterebbe di escludere la febbre tifoidea, la sua presenza non autorizza pero l’affermazione positiva). Quello che occorre, per una diagnosi positiva, non è un segno di cui la malattia implica la presenza, ma un segno la cui presenza implica la malattia. Tali segni, detti patognomonici, sono rari e preziosi. Permettono, a chi li sa riconoscere, una diagnosi di certezza quasi istantanea (osservo E(, E4 implica D, dunque – per modus ponens — affermo D). Ma i segni che non mancano mai sono così poco frequenti in medicina come i segni patognomonici. Perciò è eccezionale che si possa ragionare in modo deduttivo ai sensi della logica ordinaria: i fatti non si prestano.

“Un ascesso freddo paravertebrale fa pensare imperativamente alla tubercolosi ossea (morbo di Pott)”. “La cirrosi facilita l’insorgere di un tumore del fegato”. “Nella malattia di Parkinson, una sindrome depressiva è possibile’. “Ogni flebite comporta un rischio non trascurabile di embolia polmonare”. “Le forme respiratorie della poliomielite, più o meno frequenti secondo le epidemie, si osservano più sovente nell’adulto (1/2) che nel bambino (1/20)”. “La mortalità nel tetano è attualmente del 30%”. “La stenosi mitralica è una complicazione frequente del reumatismo articolare acuto trascurato”… Le risorse della logica del prim’ordine non aiutano direttamente nella formalizzazione di simili enunciati. L’uso dei quantificatori permette di enunciare che in tale o tale malattia, un dato sintomo si presenta in ogni caso, in certi casi, o in nessun caso. Si vuole poter dire in quale proporzione dei casi.

Sembra ovvio ricorrere alla probabilità. Quando si passa al linguaggio delle probabilità, il caso puramente deduttivo diventa in certo modo un caso-limite, realizzato quando tutte le probabilità sono uguali a zero o a uno. Dire che la malattia A provoca sempre l’effetto E (A implica E) equivale a dire che la probabilità di E, dato A, è uguale a 1. A seconda che, nella malattia A, il fenomeno E sia presente quasi sempre, spesso, una volta su due, raramente, eccezionalmente, si dirà che la probabilità di E, dato A, è per esempio uguale a 1-e. superiore a 0,7, pressoché uguale a 0,5, inferiore a 0,2, uguale a e … Dal fatto che l’ipertensione “favorisce” l’emorragia cerebrale, non consegue che ogni emorragia cerebrale sia provocata da un’ipertensione arteriosa. Ciò non impedisce di capire come l’emorragia cerebrale sia un esito dell’ipertensione, né di fare la diagnosi eziologica di un’emorragia cerebrale. Anche se lo svolgimento dei fatti non è strettamente “logico” (perché certe cirrosi si complicano con epatoma e altre no? Perché una persona con un’ipertensione moderata ha un’emorragia cerebrale, mentre l’altra, con un’ipertensione più grave, è risparmiata?), si può arrivare a conclusioni plausibili (questa emorragia è dovuta all’ipertensione) tramite una procedura che ha la sua propria “logica”.

La procedura “bayesiana” permette di ragionare rigorosamente su situazioni che comportano una parte d’incertezza o d’irregolarità.

Una malattia si riconosce da certi “segni”. Chiamiamo X (spazio fondamentale, o spazio delle possibilità elementari) l’insieme di tutti i segni o eventi E,, E2,… EK… (normali o patologici) aventi un significato medico e che sono studiati dalla semeiotica. La tradizione distingue i segni funzionali, raccolti attraverso una sorta di interrogatorio (ciò che il malato lamenta; insonnia, cefalea, dolori, dispepsia, fitta al fianco, …), i segni fisici (raccolti dall’esame clinico: pallore o cianosi manifestati allo sguardo, tumore sensibile alla palpazione, opacità individuabile con la percussione, rantoli crepitanti per mezzo dell’auscultazione, …), e i segni raccolti indirettamente da esami complementari più o meno strumentali (esame microscopico di secrezioni, dosaggio di sostanze nel sangue, radiografia di organi, …): ogni nuova tecnica d’investigazione apre un nuovo campo semiologico. Occorre che il medico abbia appreso a identificare i segni (riconoscere: un arrossamento, un’adenopatia, un mughetto, una rigidità meningea,…); a cercare certi segni in particolari contesti (segno di Lasègue nella sciatica comune, segno di Babinski quando si sospetta una sindrome piramidale, …); a analizzareie caratteristiche differenziali (soffio cardiaco sistolico o diastolico, con massimo apicale o csifoideo irradiante all’ascella o sotto la clavicola, a timbro ronzante o “a getto di vapore”, …); a interpretare i risultati dei vari esami (riconoscere il profilo di un’anemia alla lettura di un quadro ematico, per esempio).

L’esperienza, la memoria, e l’attitudine a riconoscere le “forme” (strutture), concorrono con una componente casuale (poiché ci sono segni fuggevoli) ai fini della collazione semiologica. Il processo d’interpretazione, che è sulla via della diagnosi, può già esser analizzato in uno stile “bayesiano” (l’interpretazione di esami specializzati come l’elettrocardiogramma o la scintigrafia cerebrale sono state oggetto di modellizzazioni informatiche già negli anni 60).L’insieme delle possibili malattie può essere rappresentato da una famiglia F di sotto-spazi di X, se si accetta di considerare una malattia come la costellazione dei suoi eventuali sintomi (il “quadro patologico”, composto da tutto ciò che può essere manifestazione del disturbo organico o psichico). Tali quadri si modificano con l’evoluzione delle conoscenze mediche, si alterano i raggruppamenti, si individuano nuove affezioni (ne testimoniano i rimaneggiamenti della Classificazione Internazionale delle Malattie che è alla sua nona revisione dal 1900). Ogni diagnosi è, tutt’al più, relativa allo stato delle conoscenze di un’epoca (secondo i rilievi delle cause di decesso, a Parigi 100 anni fa, non si moriva mai d’infarto del miocardio: l’infarto era sconosciuto). Un medico esperto, cosciente dei suoi limiti culturali, si riserva sempre la possibilità a priori che un suo paziente sia affetto da una malattia, descritta nella letteratura scientifica, ma che egli ignora:0da un’affezione non ancora individuata.Si definisce in F quello che i matematici chiamano una misura P soddisfacente gli assiomi di Kolmogorov (assiomi della teoria delle probabilità). La frequenza relativa delle malattie è a prima vista una buona misura della loro probabilità di insorgere, se la popolazione standard è correttamente scelta. Le variazioni di frequenza possono essere notevoli da una popolazione all’altra. La difterite, comune nell’Europa di un secolo fa, è praticamente scomparsa oggi. Il raffreddore da fieno s’incontra praticamente soltanto durante la primavera. La tubercolosi indietreggia con il miglioramento del tenore di vita, certi tumori hanno una particolare ripartizione geografica, ci sono scarse probabilità di aver contratto una silicosi se non si è mai stati in miniera, elevate probabilità di contrarre la bilharziosi se si è contadini nella vallata del Nilo. In ospedale le patologie sono diverse da quelle incontrate nelle visite domiciliari 1 medici rurali sono abituati a malattie che i medici di città non hanno occasione di riscontrare. Il tipo di pratica influisce anche sulla probabilità a priori delle ipotesi diagnostiche (non si consulta un cardiologo per un dolore all’alluce, né uno psichiatra per una gamba fratturata; anche i generalisti hanno il loro “profilo”,che la gente impara a conoscere: così, a seconda della loro liberalità nei confronti della medicina psicosomatica, vedono più o meno di questo genere di patologie). In definitiva, ogni medico, familiarizzandosi con la propria clientela, effettua le sue distribuzioni di probabilità (proprio come l’elaboratore “bayesiano”), e così prima ancora che entri il paziente egli ha già un’idea delle diagnosi più probabili. Ciò costituisce un handicap per le malattie più rare: ne testimonia il ritardo con il quale sono stati riconosciuti certi accessi di paludismo in Francia in questi ultimi anni. Non essendosi più imbattuti in questa malattia, si considerava l’eventualità come un’ipotesi puramente accademica”. Per le diagnosi correnti il metodo tuttavia fornisce una base di ragionamento più efficace. Il lettore si spaventerà forse all’idea che, per fare una diagnosi, occorra attribuire una probabilità ad ogni possibile evento. Tuttavia, in effetti, se la congettura iniziale è coerente e le ipotesi sono poste nel modo giusto, non è indispensabile specificare completamente lo spazio delle probabilità latenti (compito che sarebbe, in generale, tecnicamente molto difficile).

La congettura iniziale consiste, insomma, in una partizione dello spazio delle possibilità e in una distribuzione di probabilità che rappresenta il grado di fiducia accordato alle ipotesi considerate. Taluni hanno più intuito di altri: le loro prime distribuzioni sono abitualmente più vicine alle distribuzioni finali, sono più “acute” di quelle dei loro colleghi, i quali per prudenza ripartiscono prima la puntata in modo più uniforme su tutti i cavalli. Ma un medico che non avesse”buone” intuizioni in partenza arriverebbe ugualmente (anche se forse più lentamente) alla “buona” diagnosi, purché la sua congettura iniziale fosse stata coerente, e in seguito il suo ragionamento corretto. “Se si sperimenta senza alcuna idea preconcetta, si va alla ventura”, diceva Claude Bernard, “ma… se si osserva co idee preconcette, si fanno pessime osservazioni”. La congettura orienta la raccolta dei fatti: colui che ha privilegia un’ipotesi procede direttamente agli esami suscettibili di confermarla, colui che esita tra diverse diagnosi tende a attardarsi in esami esplorativi. L’informazione fornita dai fatti (riassur nella funzione di verosimiglianza) ha l’oggettività che le conferiscono le conoscenze mediche accumulate. In clinica si impara a giudicare “il valore < segni”. I mixedematosi sono apatici, anoressici, stàtici: questi sono indici mediocri (molte persone sono stitiche, ipotiroidei non sempre si lamentano della loro stitichezza); l’esser freddolos la voce rauca sono indici più interessanti; l’ipercolesterolemia è solo un segnale complementare; il dosaggio dell’ormone tiroideo libero circolante r sangue è oggi un’informazione decisivi ieri la diagnosi si confermava tramite a segni (allungamento dell’arco riflesso, diminuzione del metabolismo basale). Un buon segno è allo stesso tempo sensibile e specifico. Un segno è tanto più sensibile, in una data malattia, quanto più ha possibilità esser riscontrato in un paziente affetto questa malattia. Per esempio, nella maggior parte delle malattie infettive, 1 febbre è un segno molto sensibile (ancorché ci siano infezioni senza febbre, in particolare negli anziani e ni soggetti debilitati). Un segno clinico sensibile può mancare di specificità: reazioni febbrili si riscontrano in tanti tipi di malattie diverse. La probabilità della comparsa di un segno, data la malattia, si misura sulla proporzione relativa delle persone che, avendo que malattia, presentano quel sintomo. Viceversa, il difetto di sensibilità di un test si calibra sulla base della proporzione dei risultati falsamente negativi (fratture non visibili alla radiografia, per esempio). I segni utilizzati in clinica hanno sensibilità molto diverse. La cecità è una complicazione seria della malattia di Horton, dove può essere inaugurale; fortunatamente, si osserva solo dal 10 al 20% dei casi. Una volta su quattro la litiasi biliare è indolore. Circa la metà dei mielomi s’accompagna a proteinuria. Nella neurosifilide (tabe o paralisi generalizzata), la sierologia sifilitica è positiva in oltre il 90% dei casi. La neurite oftalmica è quasi costante nella sclerosi a placche. Nel caso di depressione malinconica, il senso di colpa è molto frequente per gli occidentali di civiltà giudeo-cristiana, raro (anzi, eccezionale) per gli orientali… Più sensibile è un segno, più la sua assenza fa dubitare della realtà della malattia. Al limite, il segno perfettamente sensìbile è quello che non manca mai: fa ‘sempre parte del quadro”, la sua assenza permette (lo si è visto) di escludere la malattia, la sua presenza è necessaria (non sufficiente) alla diagnosi positiva.

Un segno ha tanto più specificità per la diagnosi di una malattia quanto più ha possibilità di non esser riscontrato in una persona non affetta dalla malattia. Per esempio, nei Paesi europei, si vedono poche polinevriti che non siano llcooliche. Un segno molto specifico può [non essere molto sensibile: così il “pasping’ è raro nelle sindromi frontali; I ma quando lo si riscontra, è uratteristico di una lesione frontale, – poiché non è mai riscontrato nelle lesioni ‘dialtri lobi cerebrali. Il difetto di specificità di un test lo si calibra secondo la proporzione dei risultati falsamente positivi(il  test serologico comune della sifilide, la vecchia reazione di Bordet-Wassermann, è specifico soltanto in modo imperfetto: è sempre positivo in caso di pian, quasi sempre in caso di paludismo, abbastanza spesso in caso di lupus eritematoso. herpes, mononucleosi nfettiva, e diverse altre malattie virali…). La proporzione delle persone non affette dalla malattia e nelle quali non si riscontra il segno da una misura della specificità del sintomo, vera misura della probabilità doppia-negativa (non-sintomo su non-malattia).

Un sintomo poco specifico è un sintomo che si riscontra in molti quadri diversi. Così, un edema generalizzato è, in sé, un sintomo poco specifico: lo si può riscontrare in una nefropatia (anch’essa probabilmente di origine infettiva, o diabetica, o legata a un lupus, un’amiloidosi, una trombosi della vena cava inferiore…), ma anche in una cardiopatia, un’affezione del fegato (cirrosi, epatite…), certi disturbi endocrini, certi stati di carenza… Una nevrite oftalmica deve far ricercare, non solo una sclerosi a placche, ma anche una meningo-encefalite batterica o virale, una intossicazione (tabagismo), una carenza di vitamine del gruppo B, una malattia di Horton… La glicosuria è molto specifica nel caso di diabete mellito, eppure non è patognomonica (esiste anche nel diabete renale). Più un segno è specifico, più la sua presenza deve far pensare alla malattia. Al limite, un segno perfettamente specifico (patognomonico) è sufficiente per una diagnosi positiva (la malattia è una condizione necessaria della sua presenza). L’arte dell’investigazione diagnostica consiste, allorquando si hanno dubbi sulla fondatezza di un’ipotesi, nel ricercare un segno sensibile, la cui assenza renderebbe quest’ipotesi più improbabile; e quando si sospetta fortemente una malattia, nel ricercare un segno specifico, la cui presenza aumenta la probabilità che si tratti di quella malattia. Questa strategia euristica deve navigare tra due scogli: succede che il medico, obnubilato da una diagnosi, trascuri informazioni non correlate con ciò che cerca, si pensa alla menopausa, e si sorvola su una gravidanza di oltre due mesi. Più spesso si perde tempo a raccogliere una massa di informazioni superflue, come in quelle ipertrofiche cartelle cllniche nelle quali è difficile estrarre, da un magma aneddotico, i dettagli pertinenti. Un dato è informativo se “discriminante” nei confronti di una diagnosi, cioè se porta a una revisione della congettura. Se, da un lato, c’è una tendenza a sopravvalutare le informazioni fornite da molti dati, dall’altro sia i pazienti che i medici sono inclini a sottovalutare l’incertezza dei dati. Certi pazienti sono inutilmente allarmati da variazioni apparenti della loro pressione arteriosa o nelle loro analisi del sangue, quando queste sono, invece, totalmente compatibili con le normali fluttuazioni dei parametri organici e le irregolarità legate alle condizioni di misura o di prelievo. Le funzioni di verosimiglianza (stima della sensibilità e della specificità degli esami) sono le “macchine per digerire l’informazione” che fanno funzionare il calcolo bayesiano. Bruno de Finetti lo situa appunto nella “verosimilizzazione” delle ipotesi iniziali tramite l’informazione raccolta. Laddove le conoscenze sono ancora vaghe, le “macchine” sono diverse e le scuole si oppongono. Con il progredire delle conoscenze, si fa l’unanimità nella professione. Senza un accordo sul “valore” dei segni, non vi può essere discussione razionale della diagnosi. Non tutti i medici hanno le cifre in mente. Ma un importante aspetto del lavoro di ricerca in medicina (e in epidemiologia in particolare) consiste nel valutare correttamente le funzioni di verosimiglianza, le quali permettono di ragionare.

Una congettura iniziale è in parte arbitraria. Man mano che vengono raccolti nuovi dati, la soggettività della prima ipotesi è poco a poco corretta da\Yaggettività dei dati. I ricercatori bayesiani che osservano gli stessi fatti, e si accordano sul modo di interpretarli, devono convergere verso la stessa distribuzione di probabilità delle ipotesi, a patto che il processo duri abbastanza a lungo. Ma in pratica il numero degli esperimenti è limitato, e occorre farsi carico di un certo residuo di arbitrarietà. D’altro canto, dire che c’è in ultima analisi convergenza verso la stessa distribuzione finale di probabilità, qualunque siano state le distribuzioni iniziali, non equivale a dire che tutte le ipotesi, tranne una, sono alla fine giudicate impossibili all’esame dei fatti: al contrario, in una procedura bayesiana corretta, né le probabilità finali, né quelle iniziali, possono essere uguali a zero o a uno. Rimane sempre l’ombra del dubbio.

L’adottare un’ipotesi scaturisce da una decisione che non va confusa con il calcolo della sua probabilità. La regola bayesiana di decisione (chiamata a volte “criterio del Bernoulli”) prescrive la scelta dell’ipotesi che ha la più grande speranza (in inglese “expectation”). Se si considera trascurabile il rischio dovuto agli errori (se si pensa che lo scegliere un’ipotesi errata, o il respingere un’ipotesi vera, non abbia conseguenze sfavorevoli; che si dispone di tutto il tempo necessario; in sostanza, che non è grave sbagliarsi), allora l’ipotesi che ha la più alta speranza è semplicemente quella che offre, a posteriori, la più alta probabilità. Tale principio “classico” di decisione è senza dubbio più vicino a quello che si adotta nella ricerca pura. Ma il timore delle conseguenze di un errore pesa molto sulla decisione del medico, ancorché generalmente si ritenga più grave respingere un’ipotesi vera (fingere che la persona non abbia un tumore, quando invece ce l’ha), che accettare un’ipotesi falsa (fare come se la persona avesse un tumore, quando invece non lo ha). Se il costo dell’errore, o più generalmente la “desiderabilità” di ogni ipotesi, sono presi in considerazione, la decisione di adottare un’ipotesi maschera un calcolo di speranza, secondo lo schema sviluppato da Pascal e dagli autori della “Logica di Port-Royal”, (1662). Tale calcolo è intuitivamente familiare al medico. Per esempio, la tonsillite nei bambini è spesso curata come tonsillite da streptococco, anche quando un’altra eziologia è giudicata più probabile, in quanto la tonsillite da streptococco è più grave. Nel calcolo classico, il profitto o la perdita previsti sono stimati in termini valutari; in medicina, si tende a stimarli in termini di speranza di vita (soluzione adottata da Daniel Bernoulli nella sua tesi sulla vaccinazione, 1760). Tuttavia, la qualità della sopravvivenza deve avere la stessa importanza della quantità. Il confort individuale non essendo concepibile in modo del tutto avulso dal confort collettivo, il quale implica anche considerazioni economiche, la stima della gravita dei diversi stati di fatto presi in esame non è mai semplice. Le cifre assolute sono meno importanti delle differenze relative. Con opportuni calcoli, si stima il valore probabile di ogni decisione. La condotta da seguire è in linea generale quella che massimizza il valore probabile. Può essere più facile (e più conforme a una pratica medica che vuole prima di tutto evitare di nuocere) formalizzare il calcolo delle utilità in termini di perdite, e descrivere la decisione da prendere come quella che minimizza la perdita previsibile. Le posizioni, comunque, cambiano da un medico all’altro, taluni preferiscono strategie più conservatrici, altri strategie più audaci. L’apprezzamento delle utilità rimane in gran parte intuitivo, e tranne che in campi molto particolari, dove protocolli di decisione sono stati stabiliti, si è ancora lungi dall’aver superato tutte le difficoltà di una valutazione razionale dei rischi.

L’analisi dell’approccio diagnostico (e terapeutico) può essere schematizzata con un albero di decisione. L’albero comporta alternativamente “nodi decisionali” e nodi “aleatori”. Ad ogni nodo aleatorio corrisponde un fatto che porta un’informazione (esempio: sintomo o non-sintomo), modificando la distribuzione delle probabilità riguardanti il possibile stato di cose (malattia o non-malattia), a condizione che si sappia giudicare il valore informativo del fatto (funzioni di verosimiglianza). Ad ogni nodo decisionale, chi decide si da, oltre la suddetta distribuzione delle probabilità, una funzione di utilità (o di perdita), coprendo le conseguenze delle condotte che possono essere prese in considerazione, il che gli permette di calcolare la speranza di ogni condotta. È chiaro che una macchina può essere programmata per effettuare tali calcoli.Invece, quando si tratta dell’elaboratore mentale del clinico, ci si accorge che esso non funziona affatto con un tale rigore analitico. Eppure, il medico esperto riconosce subito l’analisi bayesiana come una formalizzazione scientifica dei suoi normali processi di  I ragionamento. Si tratta, appunto, di analizzare, cioè scomporre in elementi semplici (giudizio di probabilità, giudizio di utilità) un processo complesso (stima dei valori delle scelte), e di isolare in tappe distinte (valutazioni a priori, integrazione di un’informazione, valutazione a posteriori) il progredire delj pensiero. Questa analisi circoscrive anche isole di soggettività: per prendere le decisioni giuste, non è sufficiente saper ragionare, occorre anche saper giudicare. Fin dove il procedimento descritto possiede una “logica”, e fin dove esso utilizza conoscenze obiettive, I può essere spiegato, e essere oggetto di I discussioni scientifiche. Nella misura in cui comporta elementi soggettivi, in particolare l’apprezzamento! delle utilità, ogni essere umano in grado di giudicare può partecipare alle decisioni che lo riguardano: alcuni preferiscono una terapia fastidiosa ma che lascia sperare in alcuni mesi di sopravvivenza, altri preferiscono una morte precoce a una sopravvivenza gravemente debilitata. Non si potrebbe affermare che esiste, per ogni circostanza, un’unica condotta razionale, II compito di una teoria della-razionalità è appunto quello di dimostrare che a diverse norme di giudizio corrispondono diversi tipi di condotte razionali.

Anne M. Fagot

Traduzione dal francese di Anne Reynaud de Mazerat

Anne Fagol-Largeaut è docente alla Université de Paris- Val de Marne, Créteil, Francia. Dottore in medicina si è successivamente specializzata alle Università di Oxford e di Stanford, in storia della medicina, in particolm modo sulle origini del ragionamento statistico-matematico in medicina e sulla valutazione delle cause di mortalità. Autrice dì articoli specializzati pubblicati in riviste di Dori paesi, Anne fagot ha recentemente curato il volume “Médeeine et probabilités, actes de la journée rl’études du 15 décembre 1979”, Institut de recherche universitaire d’histoire de la connaissance, des idées et des mentalités, Université Paris- Val de Marne, Didier-Erudition, 1982.

«Principio» o teorema di Bayes

«Se un evento può essere prodotto da un nu­mero n di cause differenti, le probabilità di esistenza di queste cause associate all’evento stanno tra loro come le probabilità dell’even­to associate a dette cause, e la probabilità di esistenza di ciascuna causa è uguale alla probabilità dell’evento associata a questa causa, divisa per la somma di tutte le proba­bilità dell’evento associate a ciascuna di que­ste cause»

 Laplace (1774) Mémoire sur la probabilità des causes par les événements, § 2. in: Oeuvres complètes, t. Vili, p. 29.

 Traduzione in termini medici

«La probabilità (probabilità a posteriori) di una malattia inclusa in una lista di malattie considerata esauriente, osservato il sintomo E, è proporzionale al prodotto della probabi­lità che si ha di osservare E quando il sog­getto è affetto dalla malattia Hj, per la pro­babilità di riscontrare la malattia Hi (proba­bilità a priori,)».

F.H. Roger (1979) Médecine et informatique, p. 147.

  

 Kos anno 1 febbraio 1984 pg 24-31 Franco Maria Ricci ed.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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profilassi della TVP in chirurgia generale

 

 

 

LINEE GUIDA PER LA PREVENZIONE DEL TROMBOEMBOLISMO VENOSO

IN CHIRURGIA GENERALE

 PREMESSA

 

La metodologia usata per lo sviluppo delle linee guida è un approccio basato sull’evidenza clinica (Evidence Based Medicine): tale approccio prevede che, prima di intraprendere un nuovo lavoro, si verifichi se siano già disponibili delle linee guida di qualità cui fare riferimento.

A tale scopo sono state adottate le linee guida dell’ACCP (American College of Chest Physicians) come base di partenza, per poi procedere in un lavoro di adattamento ed implementazione delle raccomandazioni sulla profilassi della tromboembolia venosa perioperatoria in chirurgia generale.

E’ stato inoltre utilizzato il protocollo per la prevenzione della tromboembolia venosa in ortopedia e traumatologia elaborato dalla Regione Toscana nel 2007, ricalcandone in particolare il modello di stratificazione del rischio e le relative indicazioni alla profilassi.

Il presente lavoro, pertanto, costituisce ciò che può essere definito un “processo di adattamento locale”, rappresentando la fusione fra le sintesi delle evidenze disponibili e la realtà locale.

 

 

INTRODUZIONE

 

Gli studi più recenti effettuati sulla popolazione europea mostrano un’ incidenza annuale di tromboembolia venosa pari a 1,6-1,8/1000 nella popolazione generale.

Per quanto riguarda la popolazione ospedaliera, in assenza di profilassi, l’incidenza di trombosi venosa profonda si colloca tra il 10 e il 40% nei pazienti medici o sottoposti ad intervento di chirurgia generale; sale al 40-60% in caso di chirurgia ortopedica maggiore.

Il 25-30% delle trombosi venose profonde è prossimale, si associa a sintomi clinici ed è a rischio di produrre embolia polmonare. Il 10-20% delle trombosi venose profonde di gamba si estende lungo le vene prossimali (distretto femoro-iliaco) e può causare embolia polmonare.

L’embolia polmonare è una complicanza frequente nei pazienti con trombosi del distretto venoso femoro-iliaco: esiste una forte correlazione tra trombosi venosa profonda asintomatica e conseguente sviluppo di embolia polmonare. Studi autoptici hanno riportato che il 10% della mortalità intraospedaliera può essere ricondotta ad embolia polmonare.

DEFINIZIONI

TEV: Trombo Embolia Venosa

EP: Embolia Polmonare

TVP: Trombosi Venosa Profonda

TVS: Trombosi Venosa Superficiale

BMI: Indice di Massa Corporea (Body Mass Index)

MTEV: Malattia Tromboembolica Venosa

 

Il termine TEV viene utilizzato per definire ogni evento trombotico all’interno del sistema venoso associato o no EP.

Le trombosi venose coinvolgono nella grande maggioranza dei casi le vene degli arti e, a seconda delle localizzazioni, si distinguono “profonde” (TVP) e “superficiali” (TVS).

La TVP dell’arto inferiore è definita “distale” se rimane localizzata al sistema venoso di gamba (TVP distali isolate); “prossimale” quando coinvolge la vena poplitea e/o tronchi venosi  prossimali femoro-iliaci.

L’EP è un’occlusione parziale o totale delle arterie polmonari causata dal frammento di un coagulo (embolo) che da una vena periferica migra nel circolo polmonare. Nel 90% dei casi l’EP origina da una TVP asintomatica.

L’embolia può essere associata ad una sintomatologia quanto mai variegata (dispnea improvvisa, dolore toracico, tachicardia) e può essere causa di ipertensione polmonare acuta, shock e morte improvvisa.

Sia la TVP che l’ EP possono avere importanti sequele anche passata la fase di acuzie.

Il razionale della profilassi per la TEV parte dall’analisi dei fattori di rischio individuali e legati alla procedura.

 

 

DEFINIZIONE DEL RISCHIO TROMBOEMBOLICO

 

Allo scopo di definire il rischio di TEV post-chirurgica e la tipologia di profilassi da impiegare si è elaborata una scheda di definizione individuale del rischio nella quale viene assegnato un punteggio (da 0 a 3) per ogni fattore di rischio sia relativo al paziente, sia relativo al tipo di procedura chirurgica indicata per il paziente stesso. L’età è stata considerata come un fattore di rischio a se stante, attribuendo punteggio =0 ad età <40 anni e punteggio =1 ad età >40 anni.

Sulla base dell’effetto cumulativo dei fattori di rischio è possibile identificare i gruppi ad alto rischio per TEV, mentre non è sempre possibile identificare il grado di predisposizione individuale. Ciò rende razionale l’impiego della profilassi in tutti i pazienti a rischio; la profilassi è inoltre preferibile al trattamento della TEV, anche perché questa è spesso di difficile riconoscimento. L’EP massiva è, inoltre, un evento improvviso che spesso non consente la rianimazione: nel 70-80% dei casi di morte intraospedaliera per EP la diagnosi è autoptica.

Sebbene l’obiettivo principale della profilassi anti-tromboembolica sia la prevenzione della EP fatale, importante è altresì la prevenzione della TVP e della TEV. La maggior parte delle TEV che richiedono un ricovero si verifica dopo la dimissione, in un periodo che può variare dalle 2 settimane fino a circa 2-3 mesi. Pertanto, la mancata profilassi, oltre a complicare e prolungare i ricoveri ospedalieri, causa ricoveri ripetuti.

Sintetizzando, le ragioni principali per cui la tromboprofilassi è la strategia più appropriata possono ricondursi a tre elementi:

 

  1. possibilità di stratificare il rischio;
  2. difficoltà di quantificare il rischio individuale e di eseguire uno screening sistematico per rischi individuali;
  3. difficoltà nella diagnosi e rischio di trattare solo i casi in cui la diagnosi di TEV è già stata posta.

 

 

Rischi relativi al paziente

 

A: punteggio 1

  • Uso di estro-progestinici o di inibitori ormonali (raloxifene, tamoxifene). La terapia ormonale sostitutiva, il raloxifene e il tamoxifene aumentano il rischio di circa 3 volte. Alti dosaggi di progestinici aumentano il rischio di circa 6 volte.
  • Prolungato allettamento (> 3 gg)
  • Presenza di catetere venoso centrale
  • Infezioni gravi
  • Insufficienza respiratoria o cardiaca cronica
  • Malattia infiammatoria cronica dell’intestino
  • Obesità grave (BMI: F >28, M>30). Il rischio aumenta di 3 volte.

Le classi di peso indicate dal BMI (calcolo semplificato del BMI* = peso in kg / altezza in mt2) sono le seguenti:

BMI <18,5 sottopeso

BMI 18,5-24,9 normopeso

BMI 25,0-29,9 sovrappeso

BMI >30 obesità

  • Sindrome nefrosica
  • Varici degli arti inferiori. Il rischio aumenta del 50% dopo chirurgia maggiore.

 

B: punteggio 2

  • Pregressa TVP o fenomeno tromboembolico. La chirurgia aumenta il rischio di recidiva del 5%.
  • Diatesi trombofilica conosciuta (deficit di antitrombina, proteina C e proteina S, resistenza alla PC attivata/fattore V Leiden in etero o omozigosi, polimorfismo G20210A del gene della protrombina in etero o omozigosi, presenza persistente- confermata dopo 12 settimane-di anticorpi antifosfolipidi definiti come presenza di Lupus Anticoagulant o positività di anticorpi anticardiolipina a medio-alto titolo o positività degli anticorpi antibeta2glicoproteina I a medio o alto titolo).
  • Gravidanza e puerperio (<6 settimane dal parto). Il rischio aumenta di circa 10 volte.
  • Neoplasie maligne in fase attiva. Il rischio aumenta di 7 volte.

 

C: punteggio 3

  • Trauma grave (soprattutto con fratture di colonna vertebrale, pelvi, arti inferiori). Il rischio aumenta di 10 volte.
  • Paralisi / Frattura di uno o più arti o immobilizzazione. L’applicazione di apparecchi gessati aumentano il rischio di circa 10 volte.

 

 

 

Relativi alla procedura chirurgica

 

La collocazione dei diversi interventi nelle singole classi di rischio tiene conto in particolare di alcuni fattori:

  • complessità della procedura chirurgica (es. aumento del rischio negli interventi eseguiti per patologia oncologica, di elevata complessità e associati ad estese dissezioni linfonodali);
  • durata complessiva dell’intervento (le procedure superiori a 30-40 minuti presentano comunque un rischio aumentato);
  • sede dell’intervento (es. la chirurgia pelvica presenta un incremento del rischio)
  • organo “bersaglio” (es. la chirurgia pancreatica e prostatica presentano un incremento del rischio);
  • accesso laparoscopico (lo pneumoperitoneo prolungato rappresenta un fattore di rischio da non sottovalutare).

 

Rischio Distretto Procedura
BASSO (punteggio 0) Collo Exeresi cisti congenite colloBiopsie linfonodaliParatiroidectomiaEmitiroidectomia

Tiroidectomia totale

Diverticolectomia Zenker

Rifacimento anastomosi esofageaMammellaExeresi semplice di lesioniQuadrantectomia semplice (+/- BLS)ToraceMediastinoscopiaToracoscopiaAddome e pelviColecistectomia (open/VLS)Appendicectomia (open/VLS)Ernioplastica ombelicale (open/VLS)Plastica di laparocele VLS

Ernioplastica inguinale/crurale open

Plastica di piccolo laparocele open

Chiusura di ileostomia/colostomia

Chirurgia annessiale (open/VLS)

Altra chirurgia pelvica femminile minoreRetto-anoEmorroidectomiaSTARFisutolotomia / FistolectomiaSfinterotomia

Drenaggio ascesso perianale

Exeresi locale di lesione ano-rettaleArtiConfezione FAV per emodialisiSafenectomiaMEDIO (punteggio 1)ColloLinfectomie cervicali radicaliMammellaQuadrantectomia + linfectomia ascellareMastectomia (+/- linfectomia ascellare)Ricostruzioni mammarie complesseMastoplastica riduttiva bilateraleToraceBullectomiaExeresi semplice di lesioni mediastinicheResezioni atipiche (open/VATS)Addome e pelviColecistectomia + coledocotomia VLS/ERCPFundoplicatio (open/VLS)Miotomia esofagea (open/VLS)Surrenectomia VLS

Splenectomia (open/VLS)

PSC-digiunostomia (open/VLS)

Nefrectomia totale (open/VLS)

Nefrectomia parziale (open/VLS)

Ernioplastica inguino-crurale VLS

Plastica di laparocele medio-grande open

Viscerolisi (open/VLS)

Isterectomia sempliceRetto-anoProlassectomia sec. DelormePlastica fistola retto-vaginaleEscissioni complesse di lesioni rettaliArtiAmputazione gamba/ cosciaELEVATO (punteggio 2)ToraceLobectomia polmonare (open/VATS)Pneumonectomia (open/VATS)Timectomia (open/VATS)Esofagectomia (open/VATS)Addome e pelviGastrectomia subtotale (open/VLS)Gastrectomia totale (open/VLS)Banding gastrico VLSGastroplastica McLean VLS

Sleeve resection VLS

Bypass gastrico VLS

Altre procedure per obesità patologica

Resezione di tenue (open/VLS)

Resezione colica (open/VLS)

Resezione retto (open/VLS)

Epatectomia (open/VLS)

Procedure complesse sulla VBP (open/VLS)

Pancreasectomia (open/VLS)

Surrenectomia open (TFL)

Aneurismectomia aortica

Isteroannessiectomia radicale (open/VLS)

Prostatectomia radicale

Cistectomia radicale

 

 

 

METODI PER LA PROFILASSI

 

Misure generali

L’immobilità aumenta il rischio di TVP di circa 10 volte. Nei pazienti immobilizzati la stasi venosa può essere contrastata incoraggiando l’esecuzione di alcuni esercizi degli arti inferiori.

L’emoconcentrazione aumenta la viscosità del sangue riducendo nei pazienti immobilizzati la velocità del flusso ematico soprattutto delle vene profonde. Non ci sono sufficienti evidenze sul bilancio rischi/benefici a supporto dell’emodiluizione o dei salassi (con l’eccezione della policitemia primaria).

 

  • È necessario incoraggiare la mobilizzazione precoce dei pazienti anche attraverso esercizi per gli arti inferiori.
  • Nei pazienti immobilizzati è necessario assicurare un’adeguata idratazione.

 

 

Metodi meccanici

 

Calze elastiche a compressione graduata (CCG)

Le CCG sono efficaci nella profilassi della TEV nei pazienti chirurgici con controindicazione assoluta a profilassi farmacologica per alto rischio emorragico.

Sono disponibili in taglie e lunghezze diverse, con estensione sopra e sotto il ginocchio. Le calze sopra il ginocchio sono preferibili a quelle sotto il ginocchio per la profilassi della TVP.

Nei pazienti chirurgici le CCG possono essere usate in combinazione con la profilassi farmacologica o con la compressione pneumatica intermittente allo scopo di ridurre l’incidenza di TVP.

Le CCG devono essere mantenute almeno fino alla dimissione (o comunque fino alla completa mobilizzazione del paziente).

 

Controindicazioni

  • Edema importante della gamba
  • Rischio aumentato di edema polmonare
  • Arteriopatie periferiche della gamba
  • Neuropatie periferiche
  • Deformità degli arti inferiori
  • Dermatiti

 

Precauzioni

  • Scegliere una taglia appropriata
  • Calzare con cura seguendo il giusto verso
  • Controllare quotidianamente la circonferenza della gamba
  • Non ripiegare sulla gamba
  • Togliere quotidianamente per un tempo non superiore ai 30 minuti

 

Compressione pneumatica intermittente (CPI)

La CPI consiste nell’applicazione di un manicotto gonfiabile che comprime ritmicamente il muscolo del polpaccio o della coscia. Gli strumenti di compressione sono solitamente applicati prima, durante o dopo l’intervento chirurgico (insieme o senza CCG) e sono mantenuti fino alla mobilizzazione del paziente. Questa procedura può essere mal tollerata dal paziente per il fastidio provocato dalla compressione ad intermittenza.

Gli studi sulla CPI per la prevenzione della TVP sia in pazienti ortopedici che chirurgici hanno mostrato una riduzione del rischio relativo. Gli studi osservazionali hanno confermato la riduzione della re-ospedalizzazione per TEV in seguito a chirurgia dell’anca in elezione. Uno studio randomizzato controllato ha mostrato che l’uso combinato di CPI ed eparine non frazionate riduce il rischio di EP nei pazienti sottoposti a chirurgia cardiaca dal 4% all’1,5%.

 

  • L’impiego della CPI dovrebbe essere sempre preceduto da uno studio eco-color-doppler venoso degli arti inferiori, al fine di escludere TVP subclinica e asintomatica.

 

I metodi meccanici possono essere preferibili per i pazienti a rischio di emorragia e pertanto sono utilizzabili quando sia possibile un rischio nell’adozione della profilassi farmacologica o non sia chiaro il beneficio. I dispositivi meccanici sono controindicati nei pazienti a rischio di lesioni cutanee e/o patologie ischemiche delle gambe e neuropatia periferica. Inoltre, se impropriamente usati, possono essere veicolo di infezione fra pazienti.

 

Metodi Farmacologici

Sebbene sia giustificato l’uso delle eparine non frazionate (ENF), in linea generale sono da preferire quelle a basso peso molecolare (EBPM) per il minor rischio di piastrinopenia da eparina e la più vantaggiosa somministrazione (una iniezione/die invece che due o tre/die).

 

Eparina

È un mucopolissaccaride acido costituito da sequenze regolari di un disaccaride, interrotte da sequenze irregolari costituite da combinazioni di disaccaridi diversi.

È un anticoagulante indiretto, che richiede la presenza di un cofattore plasmatico: l’antitrombina (AT).

L’eparina si lega al sito lisinico dell’AT, producendo una modificazione conformazionale a livello del sito attivo argininico dell’AT, potenziando l’inibizione della trombina da parte dell’AT e, una volta esplicata la sua azione, si dissocia dai suoi substrati.

 

Eparina non frazionata

L’ENF ha un peso molecolare (PM) tra 3000-30.000 D, con PM medio di 15.000 D.

Solo un terzo dell’eparina somministrata si lega all’AT, i rimanenti due terzi hanno una minima attività anticoagulante. L’attività anticoagulante si esplica attraverso l’inibizione soprattutto della trombina e del fattore X attivato (F.Xa).

 

Eparine a basso peso molecolare e Fondaparinux

Le EBPM derivano dalla depolimerizzazione dell’ENF attraverso metodi chimici ed enzimatici, in modo da ottenere frazioni epariniche a più alta attività vs l’AT ed eliminando le frazioni a più alto peso molecolare, che, in genere, non sono direttamente collegate all’azione sull’AT. Hanno un PM tra 4000-7000 D.

Caratteristica delle EBPM è quella di avere un’attività anti-F.Xa maggiore dell’attività antitrombinica (4:1, rispetto a 1:1 dell’ENF). Questa proprietà è molto favorevole per l’attività di profilassi, perché l’inibizione di una molecola anti-F.Xa porta alla mancata generazione di 50 molecole di trombina.

Non è necessario il monitoraggio di laboratorio. Il picco anti-F.Xa si raggiunge dopo 4 ore dalla somministrazione.

Il Fondaparinux è un pentasaccride sintetico contenente unicamente le 5 unità saccaridiche capaci di interagire con l’antitrombina per ottenere una ottimale inibizione del fattore Xa. Non si lega alle proteine plasmatiche e non induce inibizione della funzione piastrinica. Ha una lunga emivita (17-20 ore) ed è eliminato interamente per via renale. Lo si somministra sottocute una sola volta al giorno.

E’ l’unica molecola per la quale, in profilassi di TEV, è indicata la prima somministrazione in fase postoperatoria (6h dopo la fine dell’intervento).

E’ attualmente indicato nella profilassi in chirurgia oncologica ed ortopedica.

 

 

Casi particolari di impiego e complicanze nell’utilizzo della profilassi per la TVP con EBPM e fondaparinux

 

Insufficienza renale

Le eparine e il fondaparinux sono eliminati soprattutto per via renale ed esiste un pericolo di accumulo nei pazienti con insufficienza renale trattati con tali farmaci con un conseguente aumento del rischio emorragico.

La creatininemia è meno affidabile della clearance della creatinina per stabilire il grado di insufficienza renale.

Esistono formule per calcolare la clearance dalla creatininemia. Es:

 

140 – età x peso x 0,85 (se sesso F)

72 x creatininemia (mg/dl)

 

Clearance 30-50ml/min IR moderata = non particolari problemi fino a 20gg di trattamento profilattico.

Clearance <30 ml/min IR grave = necessario adattamento posologico e/o sorveglianza clinico laboratoristica (dosaggio attività fattore Xa).

 

L’uso di Fondaparinux è controindicato per Clearance della creatinina rispettivamente < 20 ml/min in base alla scheda tecnica. Nei pazienti con Clearance fra 20 e 50 ml/min la scheda tecnica di Fondaparinux consiglia di utilizzare la dose di 1,5 mg/die.

 

Obesità

Nei pazienti con BMI > 30 raccomandiamo un incremento delle dosi fisse di EBPM (salvo nadroparina quando usata secondo lo schema in base al peso corporeo) di circa il 25%.  Fa eccezione il fondaparinux, che non richiede aggiustamenti di dose.

 

Neuroblocchi ed anestesie spinali

L’utilizzo e la diffusione di queste tecniche che sono sempre più impiegate anche in chirurgia generale rispetto l’anestesia generale in virtù della più efficace analgesia postoperatoria e dei  costi.

Tuttavia negli ultimi anni è sorta una crescente preoccupazione a causa di vari report sulla comparsa di lesioni neurologiche permanenti causate da ematomi perimidollari provocati da punture spinali o peridurali in soggetti in trattamento con anticoagulanti. Sebbene la letteratura scientifica abbia dimostrato come sia percentualmente irrilevante l’evenienza di tali complicazioni (1 caso ogni 150.000 peridurali e 1 caso ogni 220.000 spinali), tuttavia nel singolo paziente a rischio rimane quotidianamente il dilemma se attuare o meno un blocco centrale durante profilassi antitrombotica farmacologica. A tal proposito la nostra condotta si allinea alle indicazioni della ACCP 2008.

 

Raccomandazioni:

  1. nessuna somministrazione di eparina (in particolare le EBPM) durante le 12 ore che precedono l’anestesia;
  2. la ripresa dell’anticoagulazione con eparine deve essere ritardata di almeno 12 ore dopo la puntura in presenza soprattutto di catetere perdurale;
  3. deve essere evitata la somministrazione di dicumarolici la sera prima dell’intervento (l’indicazione deriva dall’opportunità di mantenere al momento della rimozione del catetere peridurale un INR < 1,5);
  4. prestare particolare attenzione all’eliminazione delle associazioni pericolose: eparina (o fondaparinux) con anti-aggreganti piastrinici o altri farmaci che inibiscano l’emostasi;
  5. la rimozione del catetere peridurale deve avvenire almeno 12 ore dopo la precedente somministrazione di EBPM e si devono attendere almeno 2-4 ore per la somministrazione successiva;
  1. se si utilizza fondaparinux la rimozione del catetere perdurale deve avvenire 36 ore dopo la precedente somministrazione e 12 ore prima della successiva (questo comporta la sospensione di una dose giornaliera di fondaparinux);
  2. se si utilizza dabigatran non va eseguita anestesia neurassiale con mantenimento del catetere perdurale; il catetere deve essere rimosso almeno 2 ore prima dell’inizio della terapia con dabigatran;
  3. l’esame neurologico di questi pazienti deve essere minuzioso nell’arco delle 24 ore successive al blocco neurassiale.

 

Pazienti in età pediatrica

Riguardo tale argomento la letteratura è povera di evidenze scientifiche a sostegno dell’utilità della profilassi della TEV in età pediatrica.

In età post puberale si ritiene opportuno, quindi, stratificare il rischio del paziente prendendo in considerazione i fattori obesità, familiarità per TEV in età giovanile (< 50aa), presenza di malattie croniche e di dosare la posologia basandosi sul peso del paziente (nadroparina sodica).

 

Gravidanza

La gravidanza è un fattore di rischi per TVE  presentando un rischio aumentato di 10 volte.

Nelle pazienti in stato di gravidanza è preferibile usare EBPM piuttosto che le eparine frazionate.

 

HIT

La trombocitopenia è complicanza del trattamento con eparine potenzialmente grave (specie se si associa a trombosi).

In alcuni casi può presentarsi in forma grave (trombocitopenia da eparina di II tipo), immunomediata, caratterizzata dalla formazione di anticorpi contro il complesso eparina-fattore piastrinico 4 (PF-4). Tale forma puo’ comparire per lo più da 5 a 10 giorni dopo l’inizio del trattamento, ma anche prima in caso di precedente esposizione all’eparina. In questi pazienti si possono sviluppare nuovi trombi associati con trombocitopenia, derivanti dall’attivazione piastrinica e coagulativa ed il verificarsi di fenomeni tromboembolici sia venosi che arteriosi.

La HIT si verifica nell’1-5% dei pazienti trattati, a dosi profilattiche o terapeutiche, con eparina non frazionata ed in particolare con eparina bovina ad alte dosi. E’ dimostrato che anche il trattamento con le eparine a basso peso molecolare può accompagnarsi non infrequentemente a HIT. A tal riguardo va sottolineato che esiste frequentemente cross-reattività degli anticorpi della HIT e tutte le eparine, fatto che già da anni aveva comunque sconsigliato l’uso di EBPM in luogo dell’eparina non frazionata nei pazienti con HIT.

L’eparina deve essere sospesa in ogni paziente che diventa trombocitopenico. Per questo motivo è spesso necessario, dopo il riconoscimento di una HIT, un trattamento anticoagulante alternativo. Diversi sono i farmaci anticoagulanti registrati nel mondo per l’uso nella HIT ma fra questi solo la lepirudina è disponibile in Italia.

Il trattamento con fondaparinux non si è mai accompagnato a HIT negli studi di fase II e III che hanno portato alla sua registrazione e il farmaco non cross-reagisce con gli anticorpi associati alla HIT. L’assenza di HIT è stata confermata negli anni successivi dal monitoraggio dell’uso clinico del farmaco. Esistono, tuttavia, segnalazioni di trattamento della HIT con fondaparinux e sono state oggetto di una recente revisione.

 

Rischio di Sanguinamento

  • La più temuta complicanza della tromboprofilassi è il rischio di sanguinamento.

Tuttavia, le metanalisi di studi randomizzati controllati con placebo hanno dimostrato un minimo aumento di incidenza di episodi di sanguinamento a fronte di un’alta riduzione di eventi di TEV, con l’impiego di basse dosi di eparina non frazionata (ENF) e di eparine a basso peso molecolare (EBPM).

 

 

DURATA DELLA PROFILASSI FARMACOLOGICA

 

La durata della profilassi farmacologia è almeno di 7 giorni. In ogni caso è variabile a seconda del grado di rischio, della ripresa della mobilizzazione e della patologia di fondo.

Nei pazienti oncologici a rischio molto elevato è consigliabile prolungarla almeno per 30 giorni dopo l’intervento.

 

 


Strategie di profilassi per la TEV in Chirurgia Generale   

 

Rischio* Strategie Somministrazione Durata
Mobilizzazione precoce
  Medio  Eparina a basso peso molecolare EBPM: dosaggio A1° dose:Anestesia generale/locale:

1-2h prima (preanestesia)

Anestesia spinale/epidurale:

12h prima

 

Dosi successive:

ogni 24h

 

In caso di anestesia spinale/epidurale la dose deve essere somministrata almeno 2h dopo la rimozione dell’ago/catetereDi norma: 7 giorniIn caso di immobilità prolungata e/o complicanze, la durata dovrà essere valutata nel singolo paziente  Elevato Eparina a basso peso molecolareEBPM: dosaggio B1° dose:Anestesia generale/locale o

anestesia spinale/epidurale:

12h prima

 

Dosi successive:

ogni 24h, a partire da 12h dopo l’intervento

 

In caso di anestesia spinale/epidurale la dose deve essere somministrata almeno 2h dopo la rimozione dell’ago/catetereDi norma: 7 giorniIn caso di immobilità prolungata e/o complicanze, la durata dovrà essere valutata nel singolo paziente  Elevatissimo

  Eparina a basso peso molecolare oFondaparinux 

+

 

eventualmente:

 

messi fisici

(CCG, CPI)EBPM: dose B1° dose:Anestesia generale/locale o

anestesia spinale/epidurale:

12h prima

 

Dosi successive:

ogni 24h, a partire da 12h dopo l’intervento

 

In caso di anestesia spinale/epidurale la dose deve essere somministrata almeno 2h dopo la rimozione dell’ago/catetere

 

Le CCG devono essere indossate dall’ingresso in sala operatoria sino alla dimissione.

La CPI deve essere applicata nel perioperatorio e mantenuta sino alla mobilizzazioneLimite minimo: 7 giorniVariabile a seconda dei tempi di mobilizzazione (consigliabile almeno 15 giorni).

Negli oncologici è preferibile prolungarla sino a 30 giorni.

 

In caso di immobilità prolungata e/o complicanze, la durata dovrà essere valutata nel singolo paziente* Nei pazienti ad elevato rischio di sanguinamento considerare l’opportunità di usare solo mezzi fisici.

 

 

Dosaggio dei farmaci anti-tromobotici per la profilassi della TEV in Chirurgia Generale (dose A: rischio medio)

 

 

 

Dosaggio dei farmaci anti-tromobotici per la profilassi della TEV in Chirurgia Generale (dose B: rischio elevato ed elevatissimo)

 


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“rendez vous” endolaparoscopico nella colecisto-coledoco litiasi

ENDOLAPAROSCOPIC  “RENDEZ VOUS” PROCEDURE.OUR EXPERIENCE IN THE TREATMENT OF CHOLECYSTO-CHOLEDOCHOLITHIASIS.

 

Luca Felicioni MD   General and Minimallyinvasive Surgery “Misericordia”Hospital Grosseto ITA

 

The advent of endoscopic and laparoscopic techniques changed surgery in many ways.For the management of cholelithiasis, laparoscopic cholecystectomy(LC)is the treatment of choise.There is still some controversy regarding the optimal timing and best method for the removal of common bile duct stones(CBDS).A number of different methods for the management of common bile duct stones (CBDS) have been proposed and are currently in clinical use including endoscopic sphinterotomy (ES) before LC in patients with suspected common bile duct stones,laparoscopic bile duct exploration and postoperative endoscopic retrograde cholangiopancreatography (ERCP).Also the alternative technique of peroperative ES is emerging.

Since the introduction of laparoscopic cholecystectomy (LC),the frequency of pre- as well as postoperative removal of CBDS by ERCP has increased.A major concern regarding both pre- and postoperative extraction of CBDS by the ERCP techniques is the risk for development of pancreatitis,which in recent prospective studies varied between1% and 13.5% after an ERCP procedure.Therefore efforts should be made to minimize the number of unnecessary preoperative ERCP.Only 27%-54% of patients suspected by clinical,biochemical and radiological criteria effectively show common bile duct calculi,therefore a high number of patients undergoing unnecessary ERCP are exposed to a considerable rate of complications.Postoperative ERCP and ES,with the clear advantage of limiting ERCP to documented cases of CBD calculi but with a failure rate of approximately 2%-15%,in which case a further procedure to clear CBD is necessary.Laparoscopic stone removal by either the trancystic approach (small stones) or by common bile duct exploration (CBDE) via a choledochotomy,allows for a more selective approach to the removal of CBDS,and thus the avoidance of unnecessary preoperative ERCP.Laparoscopic transcystic CBD exploration (LTCCBDE)by Dormia basket and/or 8mm Fogarthy angioplasty catheter is effective in approximately 70-90% of cases.Laparoscopic CBD exploration through choledochotomy (LCBDE) is effective in 50-97% of cases and in any case tehnically demanding and time-consuming.The intraoperative approach, in spite of all that, benefits the patient by reducing treatment from a two-step procedure to single-step procedure under general anesthesia.Intraoperative ERCP moreover can be more readily incorporated into daily clinical practice because of its easier learning curve.

In an attempt to minimize the risk for induction of pancreatitis and avoid unnecessary exploration of the CBD,we have adopted a method for removing CBDS intraoperatively by ERCP.We report our experience during the last 5 years of combining LC with IO-ERCP,using a modified version of the techniques previously described in the literature.

 Materials and methods

 All patients admitted with symptomatic cholelithiasis were studied with ultrasound (US) and liver function tests.CBD stones were suspected when three or more of the following findings were present:dilatation of CBD>7mm or elevation of the liver function tests for bilirubin ,GGT,ALP,AST,ALT and amylase.In this case the endoscopic team was alerted to possible need for peroperative ERC.TC scan or Magnetic Resonance Cholangio pancreatography (MRCPA) have been used to detect or confirm CBDS preoperatively.

Patients underwent LC without routine intraoperative cholangiography (IOC).In our group of 81 patients scheduled for rendez vous procedure 75 IOC were performed. When IOC demonstrated or confirmed the presence of CBDS,a peroperative ERCP and ES were attempted.A duodenoscope and essential accessory equipment were brought to the operating room by the endoscopist.While waiting for the endoscopist to arrive, the surgeon introduced a 0.025-or 0.035-in guide-wire into the cystic duct (Jagwire High Performance Guidewire Boston Scientific)and advanced the guidewire down through the sphincter of Oddi and into the duodenum,if possible,usually through the IOC catheter (Chevassou 6Fr) inserted through a right ipocondrio transwall iv cannula.The IOC catheter is assured at the cystic duct by a 10mm endoclip.At the beginning of the endoscopic procedure the guidewire was caght by a polypectomy snare and pulled through the working channel of the duodenoscope.This maneuver requires cooperation between the surgeon and the endoscopist so that the guidewire is advanced without causing tension on the duodenal wall.A sphincterotome was introduced over the guidewire and into the bile duct.The guidewire greatly facilitated cannulation of the bile duct.Contrast (Omnipaque;Nycomed,Norway) was administered through the sphincterotome to perform endoscopic retrograde cholangiography (ERC).When a CBDS was identified a sphincterotomy was carried out.A retrieval balloon or a stone retrieval basket was then used to remove the stone(s).If the CBD could not be cleared of stones or in laborious periampullary manoeuvres an endoscopic naso-biliary stent was introduced to secure the bile flow.At the end of each ERC,care was taken to remove all of the gas from the stomach so as to facilitate the completion of the LC.

 Between January 2003 and October 2008 ,81 patients (34 male and 47 famale) underwent  laparoscopic cholecystectomy with planned peroperative ERCP at “Misericordia” Hospital,General and Minimally invasive Surgery department for symptomatic cholelithiasis and suspected or demonstrated choledocolithiasis.The median age was 61.1years(range23-86,SD17.5).In this series, 73 patients with CBDS or ampullar sclerosis demonstrated by IOC underwent peroperative ERCP and ES with the described  technique,whereas 8 patients were treated by ERCP+ES without the transampullar guidewire.ES and CBD clearance was successful in 75 of 79 cases with single-staged surgery and in all   cases treated in two steps or converted.2 paients planned for the single-staged procedure required conversion to open surgery during cholecystectomy for iatrogenic lesion of CBD or iperinsuflation.In 8 patients the guidewire could not be passed through the cystic duct into the duodenum,but retrograde CBD cannulation was possible without guidewire in 7 cases with cannulation frequency of 98.7%.The mean operating time was 152.5min(range, 60-360;SD +-46.8) decreased from the mean time of 221.2min during the 1st year of the study ,to the mean time of 139.5min during the 5th year.The mean bleeding rate was(ml)40.8+-10.2.The mean postoperative Hospital stay was 7.1days (range2-24;SD +-2.1) with a series of patients admited in internistic ward and with a second series admited in surgical ward .No patient was readmitted after the procedure within 30 days.The combined procedure of cholecystectomy with IO-ERCP yielded a complete removal of stones in 75 of 79 patients( 94.9%).Endoscopic sphincterotomy (EST) followed  by naso biliary tube was performed in 14 patients in the early fase of the learning curve of the endoscopic staff or when the CBD clearance was no completely convincing. 2 patients were treated in two steps with postoperative ERCP.The ERCP related complications were: one mild bleeding from the papilla (managed without endoscopic adrenaline injection),3 raised serumamylase resolved spontaneously with no symptoms,6 raised serumbilirubin resolved spontaneously.No patients developed postoperative pancreatitis,cholangitis or perforation related to the Rendez Vous procedure.Only one patient with retrograde CBD cannulation without guidewire died after a postoperative severe acute pancreatitis.Prophylactic antibiotics, and peroperatory gabesato mesilato 100mgx10 and somatostatina 3mgx2 were given to all patients  scheduled to undergo IO-ERCP.

 Discussion

 Although laparoscopic cholecystectomy has become the treatment of choice for symptomatic cholelithiasis, the optimal minimally invasive management of CBDS re­mains controversial, with many different treatment op­tions employed throughout the world. Peroperative management of CBDS involves the use of ERCP for diagnosis and the creation of a sphincterotomy, with stone extraction if stones are found. Patients with symptomatic cholelithiasis are usually selected for this procedure based on laboratory values (e.g., elevation of the liver function tests) and/or ultrasound results (e.g., a dilated CBD). ERCP is performed either as an outpa­tient procedure or during admission for LC.

Preoperative ERCP can be effectively used to con­firm the presence of stones and treat patients with unequivocal signs of CBDS; however, even with the best selection criteria, only up to one-third of patients undergoing preoperative ERCP will demonstrate cho­ledocholithiasis. This represents an unnecessary risk to patients who do not have choledocholithiasis and a substantial cost. Furthermore, preoperative ERCP, either as an outpatient procedure or during admission for LC stilI requires two separate procedures, which adds additional cost and risk to the patien.Alternatively, patients who are found to have com­mon duct, stones on an intraoperative cholangiogam can be treated by a postoperative ES and stone extrac­tion. This option is much more attractive than open exploration, but it also has drawbacks. The patient is required to have an additional procedure with its asso­ciated morbidity and mortality’. Furthermore, the failure rate for postoperative ERCP ranges from 7 to 14%. These failures necessitate another procedure for stone extraction and represent more unnecessary risk and cost to the patient.

Peroperative ES during LC provides an important approach to the management of choledocholitiasis. The single-staged procedure (LC + ERCP) has several advantages:

I.  Selecting patients far IOC eliminates unnecessary  preoperative ERCP.

2. It reduces patient discomfort and total cost avoiding  separate procedures and separate      hospital admission.

3. It allows immediate conversion under the same anesthesia to open surgery in case of ERCP failure.

4.The introduction of a guidewire through the cystic duct into the duodenum facilitates ERCP and allows a safer ES.Intraoperative ERCP is not without problems . Disadvantages of peroperative ES are prolongation of the operation time and the logistic problems of organizing the procedure. Much of this extra time is spent setting up the equipment required far ERCP.

The major complication of peroperative ES is acute pancreatitis,although it is generally of mild grade.

This is related to inadvertent cannulation of the pan­creatic duct, and only rarely associated with cannulation of the papilla. The use of a guidewire, allowing an anterograde cannulation of the papilla, avoids the risk of inadvertent cannulation of the pancreatic duct, with possible related complications.Our case of severe acute pancreatitis was connected with a failure in the transampullary guidewire crossing and performing a retrograde ERCP.The patient developed a septic pancreatic necrosis in 5th postop day with laparotomy,necrosectomy and jejunostomy.He died in 56th postoperative day for sepsis. We consider that case a complication of ERCP procedure without rendez vous.One patient was discharged in 24th postoperative day after a successfull rendez vous procedure,iatrogenic lesion of CBD and hepatic-jejunostomy.We consider that case a complication of LC but the postop hospital stay is included in our group.

Laparoscopic transcystic duct exploration or laparoscopic choledochotomy and duct exploration are alternative methods of duct clearance. Transcystic duct exploration should always be at­tempted first, but it may result unsuccessful in narrow  cystic ducts.

Laparoscopic choledochotomy and duct exploration have the disadvantage of requiring a T-tube drainage to avoid the risk of CBD stenosis. Primary CBD closure without drainage may be feasible in expert hands, accepting the possible risk of stenosis; however, the handling of a T-tube laparoscopically is more time demanding.A recent meta-analysis by Clayton ESJ confirm that ERCP or laparoscopic surgical CD exploration are equivalent treatments in terms of duct clearance,mortality and overall morbidity although the laparoscopic technique may be more cost effective.A recent survey of general surgeons practising in the USA showed that only 22% actually did so routinely.We have only sporadic experiences.

For all these reasons,peroperative ERCP+ ES with rendez vous technique should be the first choise for clearance of the CBD.In case it is not possible to organize the proceduresto be performed at the same time, a postoperative attempt of ERCP over a guidewire inserted into a  transcystic drain should be the second choice.

The use of a guidewire for retrograde CBD cannu­lation in our series allowed CBDS clearance in all cases, whereas the conventional technique of cannulation may produce a high rate of cannulation failure (14% to 23%).

15 patients were scheduled for rendez vous procedure after pancreatitis(mild to moderate acute pancreatitis) and we have compared our global data with this subgroup of post-pancreatitis rendez vous procedures.This group showes a significant high average operative time (217min),hospital stay (15.4 days)and postop morbility rate (7/15).No conversion in this group.A significant high average hospital stay was connected with the group of patients admitted in internistic ward without correlation with postop morbility.

A recent prospective randomized study by Rabago LR comparing a preop ERCP group with intraop ERCP group using the rendez vous technique concludes supporting that the use of new treatment options to the management of choledocholithiasis depends more on the technical skills and experience of the endoscopic or surgical teams than on clearly established and accepted consensus.Both treatment approaches were equally effective but the rendez vous group had less morbidity,a shorter hospital stay and reduced cost.The lower morbidity in the intraop group resulted from the lower rate of papillotomy and lower rates of post-ERCP pancreatitis and cholecystitis.

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dialisi peritoneale in toscana oggi

ESPERIENZA di AUDIT MULTICENTRICO REGIONALE in DIALISI PERITONEALE (DP)

Autori : Medici e infermieri del centro dialisi peritoneale di :

Arezzo,Lucca,Livorno,Montepulciano,Grossseto,Poggibonsi,Viareggio,Pontedera,Pisa,Massa, Siena, LaSpezia, Prato,Firenze,Pescia,Pistoia,San Miniato.

Introduzione: Nonostante che la Dialisi Peritoneale (DP) sia una metodica dialitica vantaggiosa in termini di mantenimento della funzione renale residua, di conservazione degli accessi vascolari e di indipendenza del paziente, si assiste ancora a livello nazionale e regionale a una scarsa penetranza di questa metodica dialitica. Fondamentale e’ il confronto con le varie realta’ nefrologiche per poter conoscere le  modalita’ di approccio alle varie problematiche in DP.

Scopo del lavoro: Nel  maggio 2011  medici  e infermieri  dediti  alla dialisi peritoneale in Toscana (17 nefrologi e 33 infermieri )  hanno iniziato ad incontrarsi e a condividere  l’utilità di eseguire delle riunioni  finalizzate a discutere  specifici problemi clinici , assistenziali e delle comuni pratiche   con lo scopo di elaborare proposte di miglioramento  e  di aumentare la collaborazione tra le varie figure coinvolte nella gestione del paziente in DP (nefrologo,chirurgo, cardiologo, infermiere)

Materiali e metodi : Gli incontri si sono svolti seguendo la metodologia dell’Audit clinico, che   non ha lo scopo di fare  ricerca clinica o raccolta dati ma di  verificare  la buona qualità della pratica corrente rispetto a standard noti, con l’obiettivo  di migliorare le cure erogate.  Nel  prima riunione abbiamo  concordato  di effettuare tre incontri annuali  e  sono state individuate le tematiche da affrontare( inserimento  del catetere peritoneale, gestione della emergenza cutanea e delle infezioni in DP,  adeguatezza dialitica, DP nello scompenso cardiaco refrattario). Prima di ogni incontro  viene  distribuito via e- mail un questionario con domande inerenti l’argomento che si intende trattare per rilevare  le difficoltà e le difformita’   nella pratica clinica quotidiana . Ogni componente del gruppo può aggiungere quesiti o  proporre modifiche alle domande contenute nel questionario, in base alle proprie esigenze in modo che nell’incontro si possano  condividere e confrontare tutte le criticita’ riguardo all’argomento. Negli incontri vengono presentati e discussi  i risultati dei questionari,  con il coinvolgimento di tutti i partecipanti e con la  supervisione e il confronto con nefrologi  esperti sull’argomento . Al termine di ogni Audit viene redatto un verbale  e  ridefinita la procedura condivisa  inerente l’argomento trattato , procedura che viene successivamente reinviata  a tutti gli interessati per la possibile ultima revisione e quindi  la stesura  definitiva per la messa in pratica.

Risultati: Dagli audit eseguiti  fino ad ora è stato possibile:

-Condividere  una procedura comune  regionale relativa alla preparazione all’intervento  di inserimento del catetere peritoneale e  alla medicazione della emergenza cutanea ( dalla prima medicazione alle successive)

-Costruire  un data base relativo al catetere peritoneale   che  permetta  di raccogliere dati sulle  modalità chirurgiche di inserimento, sulle eventuali complicanze a breve e a lungo termine e sugli esiti;  il tutto in collaborazione con i chirurghi ,che  impegnati nell’inserimento del catetere , hanno acquisito maggiore consapevolezza della necessità di un corretto posizionamento per il successo della  metodica dialitica nel tempo

Conclusioni: Sulla base dei nostri primi risultati, peraltro incoraggianti , consideriamo l’Audit clinico multiregionale un momento formativo essenziale, che grazie al lavoro multidisciplinare e multiprofessionale ci ha consentito una piu’ efficace gestione delle problematiche inerenti la DP, contribuendo verosimilmente anche a facilitare la penetrazione della DP all’interno di ogni singola U.O. Nefrologia della nostra Regione

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